Il barone gentiluomo.

Potremmo definirlo un Gentiluomo Napoletano, ma Giovan Francesco barone di Montefalcione (Avellino) ha lasciato il segno della sua “gentilezza” in una semplice epigrafe apposta ad un volume manoscritto. Era il 25 settembre 1489. In Castelnuovo, il Maschio Angioino,  il barone  di Montefalcione, si fa copista di versi e nella nota introduttiva  esplicita anche il contenuto della prima parte del codice: «quinterno de egloghe et altre cose de piacere composti per dui poeti jentelomini neapolitani», cioè Pietro Iacopo De Iennaro e Giovan Francesco Caracciolo, mentre  la seconda parte contiene il Libro pastorale nominato Arcadio di Sannazaro.

Chi era Giovan Francesco di Montefalcione? E perché si trovava nel Maschio Angioino?  Erasmo Ricca riporta questa notizia:” Giovanni Montefalcione, che in molti documenti viene altresi denominalo Giovan Francesco, nel 1481 conseguiva dalla regia Corte l’ investitura  castri Montisfalzonis, e ne pagava il rilevio, essendo morto suo padre per nome Troilo . Il mentovalo Giovanni trapassò senza lasciar prole alcuna , talché  Luigi, suo fratello , ereditò nel 1493 la terra di Montefalcione, per la quale soddisfece al Fisco il rilevio di ducati 84 e grana 50”. E ancora il Ricca ci informa che “Fin da’ tempi de’ Normanni si possedeva questo feudo dalla famiglia Montefalcione, che diede il nome a tal castello, o pure da esso assunse il cognome; siccome narrano Giuseppe Campanile, ed il Consigliere Biagio Aldimari”.

Con il nome di Congiura dei Baroni è passata alla storia la ribellione di molti baroni del Regno di Napoli contro Ferdinando I negli anni 1485-87. I motivi che spinsero la feudalità regnicola a sollevarsi furono molteplici: un susseguirsi di guerre  avevano svuotato tanto le casse regie quanto le tasche dei sudditi; le riforme fiscali che la corte tentò di attuare tra 1481 e 1484 per incrementare le entrate; la volontà accentratrice mostrata dal sovrano.

Giovan Francesco non è trai principali animatori della ribellione, ma gli oppositori, oggi come ieri,  finiscono in carcere o, cosa più grave,  uccisi. Il nostro barone aveva preso parte alla congiura, come molti altri del suo rango sociale. I baroni sottomessi con le armi dal duca di Calabria (figlio di Ferdinando I) vennero portati a Napoli, e altri, furono arrestati tra il 12 giugno e il 4 luglio 1487. Quattro anni dopo, nella notte di Natale, vennero i più di essi “ammazzerati“, cioè chiusi dentro sacchi con grosse pietre e gettati in mare.

Il nostro Giovan Francesco prigioniero nel Maschio Angioino, impiegava il molto tempo libero a disposizione per ricopiarsi il libro pastorale di Sannazaro, le rime di De Iennaro, e un po’ di egloghe sparse di entrambi). In essi trovava : il rimpianto del buon tempo andato (simboleggiato dalla nostalgia per l’età dell’oro), la critica del presente, la satira morale del mondo che li circonda e che sembra peggiorare di giorno in giorno, infestato da lupi famelici e feroci (allegoria di funzionari avidi e corrotti che si sarebbero resi colpevoli di aver sottratto ai nostri «poeti jentelomini» il possesso di terre avite e varie rendite fondiarie) (E. Scarton,2011).

Virgilio Iandiorio

Il barone gentiluomo.ultima modifica: 2023-01-30T15:39:09+01:00da manphry
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