Noi e le parole

Le parole hanno la loro evoluzione, e si trasformano anche a nostra insaputa. Una sillaba in più o in meno in una parola, ne cambia i riferimenti e i significati. Ricorderete certamente castra- castrorum dei latini, sostantivo plurale soltanto, che indicava l’accampamento militare, ma nel medioevo era usato al singolare, castrum, e indicava in genere il luogo fortificato, ed è arrivato a noi come castello. Quanta strada ha fatto!

C’è un’altra parola che ha cambiato i suoi riferimenti semantici, pur conservando le stesse consonanti e le stesse vocali. La parola è “campo”. Per chi vive in campagna il campo è luogo familiare. Ma sono molti i toponimi che lo conservano gelosamente: Campolattaro (BN), Campocatino (LU), Campi Salentina (LE), e in Campania i Campi Flegrei; e  ad Ariano troviamo la contrada di Campo Reale. Ogni paese, io credo, ha il suo “campo”.

Ci sono poi le attività atletiche, sportive che si svolgono sui campi. Il campo di calcio è il più frequentato, ma c’è quello da tennis, e per le persone chic quello da golf. E poi c’è la “Piazza del Campo” a Siena, conosciuta nel mondo per il palio che si contendono le contrade  con la corsa dei cavalli.

Nel secolo scorso una rivista letteraria  prese il titolo “Campo di Marte”, come il nome di una stazione di Firenze, ma per il periodo in cui fu edita, (1938) voleva indicare una voglia di manifestare altre idee, diverse da quelle ufficiali .

Lo ritroviamo negli USA, ma col nome latino  Campus, luogo dove sono situati gli edifici universitari. In italiano, però, è sinonimo di università, in cui si partoriscono  eccentriche proposte culturali, che portano scompigli nel  mondo.

Non voglio nominare i campi di battaglia, perché fanno paura solo nel nome.

La guardia del campo e la sorveglianza dei lavori agricoli era affidata al campiere. Chi avrebbe mai pensato che il campo potesse diventare anche erotico. Campatore è, dalle nostre parti, colui che ara molti campi, non con l’aratro ma con quel piuolo con cui si piantano gli uomini, come dice Giovanni Boccaccio. Non vorrei esagerare, ma anche il campare ha a che vedere con il campo verdeggiante.

Poi un bel giorno la buon anima di Berlusconi decise di “scendere in campo”. Finire in politica, il povero sostantivo non l’aveva proprio messo in conto. In questi ultimi trent’anni, nel campo politico si è visto di tutto. Basta trovare uno spazio non occupato, e il campo è pronto per l’esibizione di tutti politici e  politicanti. E ne paghiamo le conseguenze. Perciò bisogna apportare qualche modifica, un campo politico così non va bene. Ci vuole un “campo largo”. I rifiuti accumulati hanno bisogno di più spazio per essere smaltiti.

Non pensate che sia rimasta indifferente la gerarchia ecclesiastica. Anche la Chiesa, infatti, si dovrà trasformare in “ospedale da campo”. Sappiamo però che gli ammalati ricoverati in ospedale o ne escono guariti o vanno al camposanto, che pur sempre è un campo, inoltre munito di tutti i conforti religiosi.

Noi e le paroleultima modifica: 2024-01-26T16:58:45+01:00da manphry
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