La letteratura che non muore.

Quando si dice delle persone a noi care saranno sempre con noi anche dopo la loro morte, si dice una verità. Per gli scrittori e i poeti di chiara fama, la loro presenza anche dopo la morte, diventa un colloquio ogni qualvolta leggiamo  anche una sola pagina delle loro opere. Avevo letto il romanzo La Neve del Vesuvio di Raffaele La Capria  pochi mesi dopo la pubblicazione nel 1989. Raffaele La Capria è morto nel mese di giugno scorso; rileggere le pagine di questo suo romanzo, non troppo noto, è come parlare col suo autore. Sembra di sentirlo:

“I racconti de La neve del Vesuvio  sono in realtà i capitoli di un breve romanzo che inizia nell’età in cui si conoscono solo poche parole e non si è nemmeno tanto sicuri di essere uno e distinto, e finisce intorno ai dieci anni, quando per la prima volta si prende coscienza del mondo in cui si vive e della storia che ci condiziona”.

E nella sua infanzia Tonino, questo il nome del bambino, “ veniva affidato ad Angelina, una ragazza di Pietrasturnino (sic), un paese da cui venivano le ragazze a servire o a fare le balie a Napoli. Angelina aveva la pelle scura, gli occhi scuri e una voce da uomo. Era piuttosto malinconica, stava sempre in cucina, e cantava una canzone come una nenia, una canzone allora in voga, che Tonino ormai  sapeva a memoria, ma non capiva bene le parole…

Ce n’erano parecchie a Napoli, arrivate da Pietrasturnino, tutte scure e ricciute come lei. Si mettevano sedute in circolo nella cucina e ridevano e parlavano senza fermarsi, in un dialetto gutturale e contratto che Tonino ascoltava soprappensiero, come se non gli fosse ignoto, e davvero qualcosa capiva, dal suono più che dalle parole”.

Quello dell’allattamento dei bambini da parte di donne che non erano le madri naturali, era una pratica molto diffusa. E non era raro che un bambino allevato da altre donne, che non fossero la madre naturale, volesse rimanere con la famiglia in cui era stato allevato. E tanto forte era il legame che si veniva a istaurare con la balia, che era abitudine di chiamarla la mamma di latte.

Una “ sera  Angelina riferì alla madre del bambino in modo confuso e concitato quanto aveva visto e sentito, raccontò che aveva sorpreso Tonino a parlare con una spirito nella stanza degli armadi, e che ci voleva uno stregone con l’aglio per mandar via il monaciello. La signora cercò di spiegare ad Angelina che i monacielli e gli stregoni si trovano forse a Pietrasturnino, sotto le querce, ma non a casa sua, in una grande città, non a Viale Elena, che è tutto abitato da persone perbene: le disse che l’odore dell’aglio non lo poteva soffrire, e tanto meno il sapore”.

A scuola, Tonino aveva capito che nei temi in classe doveva scrivere quello che gli altri volevano sentire.  Il professore un giorno sbottò: “Non sapete nemmeno cos’è un ago”. E dopo un momento di silenzio:” Non è una domanda cretina come forse state pensando: Imparate a conoscere le parole, il loro significato, a definirle. Le idee non sempre sono sacre, ma le parole sì. Non fatevi incantare dalle parole. Imparate a usarle bene, non a gridarle. Neanche se le vedete scritte a lettere cubitali sui muri. Neanche se tutti le urlano insieme nelle piazze”.

Di questo avvertimento abbiamo tenuto molto poco conto. E anche in questi momenti così straordinari della nostra esistenza di europei, ci lasciamo incantare dalla parole.  Anche quando non le conosciamo, le ripetiamo, le gridiamo.

Virgilio Iandiorio

La letteratura che non muore.ultima modifica: 2022-08-30T10:02:44+02:00da manphry
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