C’era una volta la voglia di ridere delle stramberie del mondo e c’era anche chi aveva l’ardire di scrivere dei libri, celebrando al contrario le stravaganze dell’età sua. In anni a noi più vicini, il cinema si assunse il compito di parodiare i film di successo; mi viene in mente Ultimo tango a Parigi che diventò Ultimo tango a Zagarolo, nell’ interpretazione di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Oggi, che le fantasticherie sono spacciate per fatti veri, è passata anche la voglia di ridere.
Chi avrebbe mai immaginato che per l’insegnamento del latino, di cui tanto si discute anche ai nostri giorni, si potesse avanzare una radicale proposta? Lo fece nei primi anni del secolo XVIII un tal Salvatore Tonci di Siena. Sotto questo nome in effetti si cela il letterato e commediografo senese Gregorio Gigli (1660-1722), il quale nel 1719 diede alle stampe un libro dal titolo Del Collegio Petroniano delle Balie Latine.
“Vedendo dunque il Cardinale Riccardo Petroni in qual bassezza fosse caduto a suoi tempi, cioè nella fine del secolo XIII, e nel principio del XIV, l’antico decoro della Lingua Latina ; e considerando ciò accaduto per la poca coltura, che in Italia se n’avea, dove non più materna, ma forestiera, e barbara compariva, travisata dall’ Idiotismo di tanti popoli vastatori… deliberossi non solo di raddomesticare in Siena il buon Latinismo già da molto tempo insalvatichito, ma di ridurre il nativo suolo tutto a coltura di così degno Linguaggio, tantoché a poco a poco dall’ uso, che se ne facesse da tutti, materno, e naturale Idioma in Siena diventasse; ed all’ esempio di Siena ogni altra Italiana Popolazione a ravvivare si prendesse l’antica favella dominatrice del Mondo”.
Ecco il progetto per fare sì che in tutta Italia il latino diventasse la lingua universalmente intesa e parlata! “E poiché di quei tempi in Polonia, ed in alcun Paese d’ Alemagna, fino dalle stesse Donne Latinamente si parlava, siccome oggi si parla con tanta facilità, come nella volgar propria lingua, pensò, com’ egli [il Petroni] riferisce nel suo Testamento, condurre in Siena qualche numero di dette Matrone coi loro Mariti accompagnate, acciocché raccolte in un qualche Convento prendessero ad allevare de’ Bambini d’ogni sesso, ed a quelli non altra lingua insegnassero, che la Latina. Così credeva egli ( né male certamente s’ apponeva) che avezzandosi la Figliolanza di Siena a parlare naturalmente in quella lingua ,che con tanto stento alla scuola così lungamente s’apprendeva, ne risultasse il benefizio di renderla in poche generazioni favella materna, e per conseguenza il tempo, che da Giovanetti s’ impiegava nella Gramatica Latina, potesse spendersi nel lo studio delle Mattematiche, e della Filosofia, le quali più d’ ogni altra cosa al ragionevol vivere veggonsi necessarie”.
Proposta stravagante, quella del Gigli? Non tanto, se la confrontiamo con le circolari che considerano la piazza come la nuova aula scolastica. Nella piazza si apprende, semplicemente, per contatto con gli altri, si diventa laureati della strada; nelle aule scolastiche ci si annoia da morire.” Ma al giorno d’oggi a scuola i ragazzi passano il tempo a giocare, nel foro i giovani si rendono ridicoli e – cosa ben più umiliante – i vecchi non hanno il coraggio di ammettere di aver studiato in passato soltanto boiate” (Petronio, Satyricon.4). La cultura trasmessa dalla scuola, diventata sinonimo di prevaricazione, imposizione , sopraffazione, va combattuta coi profili su face book, dove uno vale uno. E allora tutti in piazza!
Virgilio Iandiorio