Scrivere, perché?

Perché scrivere se poi nessuno legge? O, se volete, si può scrivere per un lettore che non c’è?  Forse sarebbe meglio dire che, in moltissimi casi, siamo scaduti nel superfluo e nel superficiale. Malgrado si scriva troppo non solo sulla carta stampata, ma tantissimo sul computer, si legge, e capisce, sempre meno.

Un mio amico mi raccontò di quando rimasto in panne con la sua macchina, vide arrivare un suo conoscente, meccanico di professione. Esclamò: “ Oh, epifania soterica!”. Il tizio rimase perplesso, quasi offeso. Perché aveva dato all’espressione, epifania soterica, invece che il suo significato vero, cioè apparizione salvifica, quello di Befana.

Al contrario di come erano soliti dire gli anziani del mio paese, quando intervenendo in discussioni in famiglia, solevano esclamare:” Scusate, le parole di un fesso”. Era la dichiarazione, non di scempiaggine, ma di consapevolezza. Perché quel “fesso” voleva dire semplicemente, uno che non ha dalla sua parte titoli professionali, ma solo la logica del buon senso.

Scrivere è una delle cose più individuali nella vita degli uomini. E a tutti viene voglia di affidare alla penna o al monitor qualcosa di sé. Ma ciò che scriviamo è molto più importante di come lo scriviamo? O le due cose sono correlate?

In genere chi scrive per il pubblico, è convinto che chi leggerà conosca per filo e per segno le sue parole scritte. Le cose, però, non stanno così. Molto spesso il lettore finge di capire per non sembrare persona poco istruita, per non dire ignorante. Quanto è bello ascoltare alla tv quelle trasmissioni culturali (e qui c’è solo l’imbarazzo della scelta) in cui gli interlocutori parlano per se stessi e con se stessi. Come quel professore miope della novella di Pirandello, che convinto di parlare agli alunni tiene, invece, lezione ai loro  cappotti lasciati sui banchi.

Il poeta beneventano Nicolò Franco aveva immaginato cinque secoli fa come si rimane davanti a tanta abbondanza di scrittura:” Veggo le cataste de i libri tanto alte, che mi tremono gli occhi a guardarci su. Leggo solamente i titoli che stan fuora segnati in lettre maiuscole , come i nomi de gli Apostoli in mezzo il Credo. Veggo pur gli strani nomi de libri. Chi si chiama Enchiridio, chi Corno de la Divitia: e chi Bibliotheca. Veggo tante Annotationi, Racemationi, Osservationi, Cacationi, che veggendole , mi maraviglio come San Giovanni dal Comparatico possa trovare tanti compari per battezzare . Veggo il Petrarcha comementato. Il Petrarca sconcacato. Il Petrarca imbrodolato. Il Petrarca tutto rubbato. Il Petrarca Temporale , et il Petrarca Spirituale”.

Che dire poi delle pubblicazioni di storia locale. Queste parole di Nicola Gambino valgano come indicazioni da seguire: la ricerca storica non è un esercizio erudito per raccogliere le notizie meno note o più curiose della vita paesana  del passato. Ma è lo sforzo di penetrare attraverso fatti episodici nell’animo del popolo al quale apparteniamo. L’individualità del paese, oltre che spiegare anche la nostra, indica pure la corsia preferenziale sulla quale avrebbe camminato lo sviluppo futuro ed il miglioramento morale, religioso ed economico del popolo.

Ovviamente, qualsiasi scrittore sarebbe felice di vedere lodato il proprio scritto, ma credo che una critica che metta in evidenza i punti deboli eviterà il ripetersi dei difetti e sentire obiezioni produrrà effettivamente risultati migliori rispetto ai complimenti.

Virgilio Iandiorio

Scrivere, perché?ultima modifica: 2022-01-16T18:50:27+01:00da manphry
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