Come Robinson

Il personaggio di Robinson Crusoe non ha bisogno di presentazioni. E da quando Daniel Defoe  pubblicò il romanzo nel 1719, Robinson è diventato il modello di quanti sognano l’avventura. Unico sopravvissuto al naufragio della sua nave, approda su un’isola deserta dove rimarrà per ventotto lunghi anni, dodici dei quali passati in assoluta solitudine.

Abbiamo sperimentato in piccolo che cosa significhi stare da soli in una abitazione, quanto grande si voglia, durante la chiusura dovuta al Covid-19. Siamo diventati un poco tanti Robinson che si dovevano inventare come trascorrere le giornate chiusi in casa e per giunta con la televisione da aguzzino.

Sull’isola deserta, Robinson aveva la possibilità  di sperimentare una vita completamente nuova, cambiare radicalmente la sua esistenza. Invece ricostruisce intorno a sé la stessa vita che aveva creduto di aver lasciato per sempre. E quando incontra Venerdì non si comporta diversamente da un lord inglese della sua epoca: conservando il rapporto gerarchico tra padrone e servitore.

In quasi due anni di “domicilio coatto” anche noi, come Robinson, abbiamo pensato a non allontanarci troppo dalla vita condotta fino alla tempesta della pandemia. La preoccupazione nostra: se rientrare a casa alla 22 o alla mezzanotte; se giocare a scopa in due o in quattro; se camminare in fila per sei col resto di due.

Sulla scuola poi sembra di ritornare al 1966, al tempo del film “Scusi, lei è favorevole o contrario?”, non al divorzio, ma alla didattica a distanza. Sarebbe molto più importante esaminare in modo scientifico come comportarsi  con questa nuova modalità di fare scuola: come focalizzare l’attenzione degli studenti e farli rimanere “presenti” durante le lezioni online. Se lo studente non è reattivo e si mostra senza impegno, la lezione diventa frustrante anche per l’insegnante, poiché non riceve feedback  dagli studenti, non solo verbali ma facciali, espressioni somatiche.

Confidavo qualche giorno fa ad un mio amico di altra provincia che nel mio paese dire a qualcuno “uomo di cultura” equivale a dirgli un’ingiuria. E questo avviene adesso, e lo so perché ne faccio le spese, spesso. L’amico a conferma di quanto gli avevo scritto, mi racconta una sua analoga esperienza.” Un giorno alla metà degli anni 90 mi recai in visita ad una collega di università che non rivedevo da tempo. Si era trasferita in un paesino di montagna dei nostri da oltre 15 anni. Dimenticato a casa l’indirizzo chiesi di lei  a varie persone, nessuno la conosceva. Anche al bar, punto di osservazione di tutto il paese e centro di produzione di pettegolezzi non sapevano dir nulla. Poi un anziano giocatore di carte, con un bicchiere colmo di  vino, ebbe l’intuizione felice “ma voi cercate la scienziata!”  “e potevate dircelo subito” fecero in coro gli avventori vistosamente sollevati dal timore che qualcosa della vita morta del paese potesse essergli sfuggito. Poi un giovane sui vent’anni aggiunse “state attento sta a leggere tutti i giorni e scrive sul televisore” e nelle sue parole si leggeva lo scherno moltiplicato per una “donna di cultura”.

Può valere anche adesso il monito del poeta P. P. Parzanese (1809-1852) alla serva che sbadatamente gli aveva pestato il piede podagroso:” Ma, Brigida, tu pensi sempre alle cose di un altro secolo, e non vedi dove metti i piedi”.

Virgilio Iandiorio

Come Robinsonultima modifica: 2021-09-21T08:43:08+02:00da manphry
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