A tavola con gli antichi (4)

Il fiorire di terminologia specifica per le varie colture dei campi ci aiuta a comprendere i prodotti di questi. Il castagneto è magna pars della silvicoltura: ensetetum era la selva di castagni innestati ma stava ad indicare anche l’azione stessa di innestare che si diceva insetare. L’innesto del castagno era insertum; i frutti si chiamavano inserte oppure ensete e corrispondevano alle castagne dolci e grosse. Palumbulitum era la selva di castagni che producevano una qualità buona di castagne dette palombole. Greccole erano invece le castagne di qualità scadente. Surtum (ancora oggi a Montefusco si registra il toponimo Le Surti (selve di castagni) e ad Avellino la collina de La Sciorta ha la stessa origine) si diceva la selva innestata di castagni da frutto. Non c’erano nel territorio provinciale solo boschi (meglio selve) di castagni, ma anche di querce. Con il nome esca si indicavano le ghiande che servivano per nutrire i maiali e pabeare indicava l’azione di pascolare in maniera libera le pecore e gli altri animali domestici. Il vigneto riceveva una cura particolare. Ipsa vinea debeamus laborare atque propagginare bona iuxto ordine tempore suo, sicut vinea meruerint ,recita un contratto stipulato a Benevento nel 1204. Al tempo della vendemmia le uve venivano portate al palmento del padrone e lì ci si divideva il vino prodotto, a metà, tra il proprietario del fondo e il locatario. In una donazione fatta ad Avellino nel 1086 venivano riportati in precisa successione i beni immobili di proprietà del donatore: casis et intrinsecus casis (abitazione e pertinenze), curtis, ortalis, vineis, vinealis, abellaneta (noccioleto), quertieta, castanieta, hexcleta (terreno irriguo ancora oggi detto isca), campis, silvis,  pratis, pascuis monti quam et in planis, cultum atque incultum. Si riscontra, almeno per il periodo considerato, un equilibrio tra i campi messi a coltura e lo spazio lasciato al bosco, al prato. Non si puntava esclusivamente sulla cerealicoltura, come avverrà in seguito; ma alla penuria di questa veniva in soccorso nell’alimentazione degli Irpini la carne, il latte, i formaggi. L’economia silvo-pastorale si affiancava validamente a quella agraria. Il contadino disponeva di risorse alimentari differenziate. La sua alimentazione era ricca di carne di maiale, dato che questi animali potevano pascolare liberamente nei querceti, ma anche di carne di ovini, di animali selvatici, ancora numerosi in un ambiente non depauperato dall’uomo. Non va trascurato che il latte, i formaggi, la frutta costituivano ottimi alimenti.

I segni del cambiamento si fanno chiari anche nelle nostre zone dopo l’arrivo dei Normanni. Le terre messe a coltura aumentarono e compromisero l’ incultum. Lo sviluppo del castagneto avvenne a discapito delle altre associazioni arboree. La necessità dettò legge: con le castagne si faceva la farina e queste avevano un ruolo alimentare simile a quello dei cereali.

Nei primi decenni dell’anno Mille è già attestata la coltivazione del gelso per la produzione dei bachi; ma c’era anche la coltivazione del lino e in alcune aree (nel Vallo di Lauro per esempio) quella dell’ulivo. (Quarta parte)

A tavola con gli antichi (4)ultima modifica: 2008-02-26T13:50:00+01:00da manphry
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