A tavola con gli antichi (3)

Chi predisponeva in casa per il pranzo era la padrona (la massaia) coadiuvata, ove ci fossero, dalle serve: Ecco come desiderava che fosse la sua “domina” il poeta Orazio: pudica sposa che cura da parte sua la casa e i dolci figlioli e accumuli sul sacro focolare legna vecchia al ritorno del marito stanco e dopo aver chiuso con graticci intrecciati le pecore ne munge le rigonfie mammelle e vino nuovo attingendo alla botte su la mensa posa i cibi non compri.

 

Non proprio come il poeta, ma di certo con una predisposizione culturale alle “pari opportunità” (invenzione tutta moderna), un marito infelice per la scomparsa della moglie, con la quale dimorava in agro di Montefalcione, fece scolpire sulla pietra tombale del coniuge: A Sàttia Silvina donna castissima della quale fui sempre impari; con lei ho vissuto  insieme lavorando 32 anni dieci mesi e dieci giorni. Non posso ora esprimere, per il mio grande dolore, quanto bene le ho voluto e quanto anche adesso gliene voglio. Ebbe cari me e i figli .

Nel medioevo

Con un salto temporale notevole arriviamo nel Medioevo. Un periodo di transizione, quello prescelto per questo excursus sulle abitudini alimentari degli antenati irpini. Tra il X e l’ XI secolo , infatti, il territorio provinciale era per usi, costumi e tradizioni longobardo, ma bisognava fare i conti con i nuovi padroni, i Normanni, i quali apportarono notevoli cambiamenti non solo istituzionali ,introduzione del feudalesimo, ma anche culturali in senso lato.

 

Gli insediamenti abitativi erano in buona parte sulle colline, adattati al rilievo: dal nucleo fortificato, l’abitato si era sviluppato verso il basso quasi ad anelli concentrici.

Il territorio di questi villaggi era distinto in cultum e incultum ,cioè spazio coltivato e terreni incolti regno, questi ultimi, delle selve e dei pascoli. Vicino agli abitati c’erano gli horti, creati dalla industriosità degli abitanti con terrazzamenti ingegnosi. Quivi, infatti, accanto alla coltivazione di ortaggi (cipolle, fave, ceci, cavoli, fagioli non quelli odierni di origine americana, ma un’altra specie molto coltivata e utilizzata nel Medioevo) troviamo alberi da frutto: ciliegi, meli e peri.

 

La varietà delle leguminose ricche di idrati di carbonio compensava la povertà degli ortaggi, ridotti a svolgere un ruolo secondario di una cucina dove, a fianco del pane e delle farinate, i legumi ricchi venivano usati per preparare minestre più corroboranti che raffinate .

 

La vite si trovava un poco da per tutto nella provincia irpina. Le informazioni desumibili dalle fonti scritte consentono di affermare con una certa sicurezza che la produzione di vino non doveva essere di alta qualità; ma anche se leggero, un bicchiere di vino era gradevole a bersi.

 

I memoratoria locationis (veri e propri contratti di locazione) conservati nell’Archivio dell’Abbazia di Loreto in Mercogliano, e pubblicati nel Codice Diplomatico Verginiano, ci guidano in questa ricostruzione delle abitudini alimentari degli antichi comprovinciali nel medioevo.

 

Habeo vinea et pastino, dichiarava un abitante di Montecalvo; In ipsa nostra castanieta et inseteta annualiter exinde castanee et inserte colligere… et de ipsa esca de ipse nostre silbe pabeatis cum porci vestri… et de ipsa erba nostra rebus similiter pabeatis cum vestra animalia, si stabiliva in un contratto rogato a Montella. (Terza parte)

 

 

A tavola con gli antichi (3)ultima modifica: 2008-02-26T13:48:21+01:00da manphry
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