A tavola con gli antichi (2).

Il primo piatto era costituito  da zampetto di maiale affumicato, da salsicce, ma anche da vile trippa. Si potevano avere anche pollastri e capretti, lessati o arrostiti.

 

Non mancava mai la frutta di stagione, oppure l’uva passa, le noci e i fichi secchi. Il pane quando era di quello buono veramente, conveniva farsene una provvista. Come accadeva per  quei viaggiatori  che attraversavano gli oppida irpini al confine con la Daunia.

 

Se capitava in casa un ospite inatteso non c’era di meglio che offrirgli prosciutto e salsicce. Se il prosciutto era di cinghiale , si faceva una “bella figura”. Anche perché il cinghiale allevato in zona non era da meno di quello più rinomato allevato in Umbria; entrambi si nutrivano di ghiande d’elce e di quercia.

 

Qualora si disponeva di cacciagione, era preferibile servire lepre in umido, meglio solo le spalle; andavano anche bene tordi e gru. Alla cacciagione ben si accompagnavano delle salse. Il poeta di Venosa ce ne indica due in particolare: ingredienti della prima  olio fresco, vino denso e salamoia; per la seconda erbe trite, zafferano (se di Corico in Cilicia, una sciccheria) e olio (meglio quello di Venafro).

 

I contorni: funghi prataioli, radici, lattughe e ravanelli piccanti. La frutta: in estate le more nere una delizia a fine pranzo; bene anche le mele (le più rinomate erano quelle della Valle Tiburtina e dl Piceno, ma non va sottaciuto che Virgilio chiama “malifera” la città di Abella e che anche la radice di Abellinum è la stessa della diffusissima radice indoeuropea di “apple” –mela-, con buona pace di tante ipotesi etimologiche). E poi uva rossa, pere, prugne rosse. Nella stagione invernale uva passa, noci, nocciole (le avellane) e fichi secchi.

 

Il vino non poteva mai mancare sulla tavola, considerato che spesso l’acqua non scaturiva sempre da sorgenti pure, ma veniva attinta da pozzi. I vini di “importazione” erano uno status simbol e recavano i nomi di Falerno, Cecubo, Chio, Albano. I vini nostrani non erano da meno per qualità: il novello è ottimo, per non parlare dei rossi (se pensiamo al Taurasi di oggi). I vini bianchi si accompagnavano con la frutta secca (e il palato va subito al Fiano di oggi). Una squisitezza il vino affumicato in orcioli di terracotta lasciati accanto alla canna fumaria per un certo periodo di tempo. Ci si accontentava anche di vino leggero, piuttosto che di uno robusto, quando a pranzo si era da soli o semplicemente per calmare la sete.

 

Non mancava sulla mensa il pesce di fiume, perché il territorio provinciale anche se non ha corsi d’acqua di grossa portata, ne ha comunque molti e un tempo ricchi di pesci. Abbondava il formaggio di pecora  o di capra, dato che molte zone erano adibite al pascolo.

 

A tavola con gli antichi (2).ultima modifica: 2008-02-26T13:44:35+01:00da manphry
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