Gli Italiani secondo Antonio Abati.

Sono rimasto l’altro ieri, per l’intera giornata, senza collegamento a Internet, per un guasto al mio modem. Mi sono sentito un isolato dal resto del mondo. Ho ripensato alla situazione che  stiamo vivendo per la pandemia: la necessità di restare in casa, di evitare contatti con gli altri. Eppure non abbiamo risentito molto di questo forzato, o necessario, isolamento, perché, a differenza di altre tragedie, come le guerre, la nostra solitudine per forza maggiore, ha contato sulla “solidarietà” di Internet. La scuola, per esempio, che ha continuato la sua attività on line; o la partecipazione ad interventi che avvenivano  molto distanti da noi. Spetta a noi di non fare in modo   che le possibilità che ci mette a disposizione Internet, non si trasformino in un set da “grande fratello”.

Se il tempo di rimanere soli, per forza o per scelta, viene utilizzato per leggere  o per scrivere non deve essere considerato “perduto”. Antonio Abati, vissuto nel XVII secolo (nato a Gubbio agli inizi del secolo, morì a Senigallia il 1667), ha impegnato il suo tempo “libero”, in particolare dagli incarichi alla corte imperiale di Vienna, a scrivere ” contro i poetastri e partigiani delle nazioni”.

Dei connazionali dice che “ il solo italiano, quando è buono, non ha il migliore, quando è pravo, non può il peggiore ritrovarsi, non è virtù quando al bene si fissa, che perfettamente non imiti; non è scelleraggine,  quando nel male acciecasi, che arditamente non intraprenda; la corruzione del suo ottimo è la pessima. Nell’indifferenza poi del genio verso gli stranieri, l’Italia è più scimunita nazione ch’io mi vedessi mai”.

Antonio Abati se la prende con  “l’indifferenza” verso gli stranieri, perché “Barbaro mondo: se i mortali nelle patrie tane inselvati reputassero ornamento della specie nostra il farci esuli dalle società forestiere. Inesperto mondo, se nella sola pagina di una campagna paterna credessero i curiosi d’ aver ben inteso il contenuto del libro della natura… E’ vergognoso il rannicchiarsi, per così dire, in un angolo di muro, a chi è nato per vedere il sole, ch’a gli abitatori di qualunque clima instabilmente s’espone. E poi, come può dirsi vivere chi non peregrina, s’un peregrinaggio è la vita? Non si nega, che ponderato il transito d’un’anima, non sia parimente un peregrinare il morire.

Il viaggiare compone gli animi, desta i membri, istruisce le menti, avventura le fortune. E’ politica da Moscovita [così nel testo] non permettere, che i suoi peregrinino, acciò che allettati dal diletto d’una libertà esterna, non si svuotano de’ suoi domini tirannici il giogo”.

Eppure gli italiani hanno tante qualità. “Ne gli agibili del mondo- scrive l’Abati- hanno ben fra loro gli italiani la destrezza d’Alcibiade [politico ateniese abilissimo cambiò più volte partito], col sapersi accomodare a diversità di natura; ma con le forestiere nazioni pochi son gli heterognathi [cioè eterodonti, con denti diversi fra loro per forma e funzione]  direbbono i Greci,, che sappiano in un tempo magnare da una macella [mascella] e dall’altra. Appresso tutti il capriccio val di ragione, per difendere ora la parzialità verso uno, ora l’antipatia verso l’altro; ma qui, che più li condanna, è che non curano di far le scimie di quei tali, che farebbono volontieri con essi da leoni infermi, per divorarseli… Questa è una forestiera moda, piaciuta all’Italia, perché altri l’usa, usata in Italia, perché altrove piacque”.

Come ancora succede ai giorni nostri.

Virgilio Iandiorio

Gli Italiani secondo Antonio Abati.ultima modifica: 2021-09-21T09:00:18+02:00da manphry
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