Miti e luoghi del Cilento

C’è qualcosa di antico, che diventa quasi palpabile, in ogni angolo di questa splendida costa cilentana. Forse è il fascino delle Sirene, che secondo la tradizione abitarono questo mare, a ripetere ancora l’antico incanto.

Il blu delle acque, che si fanno azzurre nelle marine affollate di bagnanti, si fonde con il verde della macchia mediterranea e gli antichi coloni greci, fuggiaschi il più delle volte dalla madre patria, bene pensarono di approdarvi e di prendervi stabile dimora.

Il patrimonio culturale del Cilento è in debito con la tradizione culturale classica, greca e latina. Le antiche forme sono riconoscibili non solo nelle vestigia del territorio, ma ancora nella lingua e negli schemi mentali, nel codice di comunicazione e nell’immaginario collettivo del paese.

Già nell’antichità le località costiere del Cilento, interessate dalla presenza di coloni greci, erano accomunate ai miti più noti: a) la spedizione degli Argonauti, b) le avventure di Ulisse, c) le imprese di Ercole, d) il viaggio di Enea. E i luoghi conservano con i loro toponimi le narrazioni dell’antica mitologia: punta Licosa, capo Palinuro, Herculia scomparsa, il santuario di Hera Argiva.

Gli Argonauti esploratori.

Il legame del mito di Giasone con il Cilento dobbiamo cercarlo nel racconto del viaggio di ritorno degli Argonauti dalla Colchide. La leggenda, infatti, si ramifica e ogni variante è condizionata  dalle idee geografiche di età diverse, ma anche dall’intenzione di porre gli Argonauti in rapporto con località di tradizione minia, della stirpe dei Minii della Beozia e della Tessaglia, che formarono l’equipaggio della nave Argo.

Secondo la tradizione antica il santuario di Hera Argiva alla foce del Sele sarebbe stato fondato da Giasone durante il suo ritorno in patria dopo la conquista del Vello d’Oro nella Colchide. Che gli Argonauti abbiano non solo solcato i mari, ma esplorato anche il corso dei fiumi è raccontato nel mito. Essi ,infatti, al ritorno dalla Colchide non fecero la stessa strada dell’andata,ma risalirono il Danubio passarono nell’Eridano (il Po) che discesero fino al Mediterraneo. Questo è solo uno degli itinerari che il mito fa percorrere agli Argonauti.

 Per venire ai luoghi cilentani, un’altra avventura mitologica li faceva passare davanti alle Sirene, protetti contro il loro canto dalla musica di Orfeo,il mitico cantore marito di Euridice anch’egli facente parte della spedizione.

Che il Sele rientri in queste scorribande argonautiche non deve destare meraviglia, anche perché sempre al nostro eroe sono collegati due culti dell’antica Poseidonia, quello del Centauro Chirone, che avrebbe allevato Giasone, e quello di Poseidon Enipeo, e questo appellativo del dio deriva dal nome di un fiume della Tessaglia l’Enipeo appunto, che ritroviamo ancora nel mito.

Il santuario di Poseidon Enipeo, a parere degli studiosi, doveva sorgere presso Agropoli, alla punta Tresino, e nel tempio era collocato il sepolcro della Sirena Leucosia.

Il mito di Giasone aveva una diffusione vastissima ed era ben radicato nella cultura dei greci, i quali nelle loro colonie  portarono le loro memorie e la loro storia. Ricondurre la fondazione di santuari ad eroi della loro mitologia era un segno di attaccamento alle tradizioni ma anche di riconquistata nobiltà di stirpe.

Ulisse e la Sirena Leucosia.

Da Napoli alla penisola sorrentina  alla punta Licosa e a Palinuro il mare è popolato di Sirene. Ligea, Leucosia e Partenope  non fanno sentire più il loro melodioso canto ingannatore,ma parlano in loro vece i luoghi con la loro emozionante bellezza offerta , come più di venti secoli fa ai viaggiatori, ai profughi in cerca di asilo, oggi ai turisti in cerca  di tranquillo e romantico svago..

Sul numero delle Sirene le fonti antiche non  sono concordi, ma la tradizione ne ricorda in particolare tre: Partenope a Napoli, Leucosia a Punta Licosa e Ligea  a Terina in Calabria. In buona sostanza nell’antichità il basso Tirreno era indicato come il luogo delle Sirene.

Di una quarta Sirena di nome Melpe si ha anche notizia e gli studiosi propendono a collocarla presso Palinuro, dove esiste il toponimo Molpa. Queste donne-uccello dal canto bellissimo rappresentavano per gli antichi naviganti le insidie del mare e tutti i pericoli della navigazione. Se poi si considera che la navigazione degli antichi avveniva per lo più avendo di mira la costa, nelle vicinanze di secche o di scogliere aumentavano i pericoli di naufragio.

Il mito narra che le Sirene non essendo riuscite a sedurre Odisseo (Ulisse) per lo sconforto si gettarono in mare. E il poeta alessandrino, Licofrone, così cantò la fine della Sirena cilentana: “Leucosia sarà scagliata sul promontorio Enipeo e per molto tempo il suo nome resterà allo scoglio, dove l’impetuoso Is e il suo vicino Laris scaricano le loro acque”.

Un turista d’eccezione:Eracle.

Eracle, o ,come lo chiamavano i latini, Ercole, è il più popolare e il più venerato di tutti gli eroi greci.

Per il re Euristeo di Argo compì le sue leggendarie dodici fatiche. Di queste sei hanno come teatro di svolgimento il Peloponneso; altre due il mondo greco; mentre le ultime quattro si svolgono al di fuori della nazione greca, e comunque in regioni remote dalla patria dell’eroe: il cinto delle Amazzoni, i buoi di Gerione, la cattura di Cerbero, i pomi delle Esperidi. Le ultime tre fatiche hanno un tema comune, quello della vittoria sulla morte.

La decima fatica è ambientata in Occidente. Eracle deve recarsi in un’isola situata nella parte estrema della terra ai confini con l’Oceano; quivi deve vincere un mostro dal triplice corpo, Gerione, e prendere il suo bestiame. Nel suo viaggio di ritorno in Grecia l’eroe passa per l’Italia e in particolare attraversa il territorio di Poseidonia.

Palinuro, pilota sfortunato.

Rispetto agli altri miti, quello di Palinuro ha avuto sorte migliore, perché Virgilio lo accolse nel suo poema, Eneide, con dovizia di particolari dandogli anche fama immortale in tutto il mondo. E gli studenti italiani hanno letto sui banchi di scuola il passo virgiliano.Palinuro era il pilota della nave di Enea. Durante il viaggio (pellegrinaggio) dei troiani verso l’Italia, il dio del sonno, Morfeo, fece addormentare questo valente capitano,  bagnandolo con acqua del Lete, il fiume dell’oblio.

Palinuro cadde in acqua, ma riuscì a raggiungere a nuoto la costa della Lucania, dove gli abitanti del posto scambiandolo per un mostro marino lo uccisero. La popolazione lucana costretta da prodigi

divini ricercò il cadavere dell’eroe, rimasto insepolto, lo seppellì con grandi onori ed eresse in suo onore un tempio sul promontorio detto da allora capo Palinuro.

I poeti, come si sa, sono profeti delle cose già avvenute. Così quando nell’Eneide Virgilio narra la storia di Palinuro, la costiera del Cilento già ne custodiva il nome.

Miti e luoghi del Cilentoultima modifica: 2007-06-23T15:10:00+02:00da manphry
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