Per chi non suona la campana.

Quando la si canta, in genere, non si fa caso al verso della canzone siciliana Vitti ‘na crozza, dove si dice: Murivi senza  toccu di campani. In tempi di coronavirus si capisce meglio che cosa vuole dire: morire senza il rintocco delle campane. Per chi è legato alla tradizione del proprio paese, morire senza accompagnamento funebre è quanto di peggio si possa temere nel trapasso da questa vita. Va detto che questo habitus ci viene da tempi lontani,  quando la sorte più triste che si potesse riservare ad un morto era quella di essere “atterrato senza una candela”, vale a dire andare alla sepoltura senza che nessuno versi una lacrima, per affetto, familiarità, amicizia o stima.

In un tempo, in cui trova molti proseliti chi propaganda di chiudere porte, balconi e finestre di casa per evitare l’ingresso agli estranei, e di sbattere la porta in faccia al forestiero che bussa, ci siamo ritrovati improvvisamente soli e perduti!  Siamo sicuri che, dopo  questa pandemia, non crescerà la convinzione che i contatti col mondo sono perniciosi?

Ho ritrovato, tra i miei libri, un testo che tratta de La malattia dalla preistoria all’ età antica. Il libro, edito da Laterza nel 1987, raccoglie gli studi di tre paleontologi-biologi, G. Alciati, M. Fedeli e V. Pesce Delfino.  “Quando l’uomo della preistoria cominciò a riunirsi con i suoi simili ed a formare i primi stabili agglomerati sociali, egli divenne maggiormente esposto all’ azione di germi patogeni, contraendoli da altri animali, che fungevano da semplici portatori di virus. Le malattie infettive nell’ uomo assunsero ben presto forma epidemica, favorite nella loro trasmissione e diffusione dalle cattive condizioni igieniche di vita ”.

“E’ bene notare una volta per tutte che l’uomo rappresenta una delle specie più mobili sulla superficie del pianeta con la capacità di occupare, con il suo enorme patrimonio di adattamenti culturali, qualsiasi ambiente, da una parte favorendo la diffusione così del proprio patrimonio genetico, della propria cultura, ma anche delle proprie malattie e dall’ altra esponendosi con gran facilità a situazioni morbigene eventualmente presenti nei nuovi ambienti sconosciuti alle popolazioni occupanti e rispetto alle quali queste ultime non avevano precedentemente subito alcuna selezione o manifestato alcuna difesa o adattamento”.

E richiamando l’antropologo francese H. V. Vallois(1889-1981), gli autori ne riportano le considerazioni in merito alle malattie dell’uomo primitivo: le affezioni avevano una frequenza diversa da quella dei nostri giorni; sensibili  loro variazioni di intensità e frequenza a seconda dei periodi; “è un errore parlare, come si fa talvolta, della robusta costituzione dei nostri remoti antenati e di supporre che la vita rozza e selvatica, che erano costretti a condurre, conferisse loro una resistenza notevole a tutte le malattie”.

“L’equilibrio generale demografico nelle epoche passate era ben diverso da quello attuale, e caratterizzato da un più alto indice sia di natalità che di mortalità e da una più bassa durata della vita media umana. Ne consegue che la proporzione fra giovani e vecchi in qualsiasi gruppo etnico dell’antichità doveva risultare assai diversa da quella riscontrabile oggi in popoli del mondo civile, nel senso di una maggiore giovanilità, e cioè meno elevata proporzione dei vecchi sul complesso generale della popolazione”.

Virgilio Iandiorio

Per chi non suona la campana.ultima modifica: 2020-04-07T20:17:31+02:00da manphry
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