Il freddo e la leggenda

Due versi posti dal poeta Patrice De La Tour Du Pin come introduzione al suo libro La quête de  joie, (che potremmo tradurre  “la ricerca di gioia”)

« Tous les pays qui n’ont plus de légende / Seront condamnés à mourir de froid….

sono quasi profetici per il nostro tempo. E oggi noi possiamo comprendere ancora  meglio cosa significhi “morire di freddo” nelle nostre città, nei nostri paesi, dove  sembra difficile ritrovare il senso stesso della vita.

Discendente per parte di padre da una nobile famiglia  del Delfinato e,  per parte di  madre, dai Condorcet, Patrice De La Tour Du Pin nacque a Parigi  il 16 marzo 1911. A diciannove anni divenne molto conosciuto  con la pubblicazione del volume di poesie ” La Quȇte de Joie“,   sul periodico La Nouvelle Revue Française, poi  nelle Editions de la Tortue nel 1933. Successivamente apparvero   L’Enfer (1935) e  Lucernaire (1936), Le Don de la Passion nel 1937 nei Caiers des poèts catholiques, Les Psaumes nel 1938 , La  Vie recluse en poésie  nel 1938 , Les Anges en 1939. Tutte le poesie   saranno raccolte nella Summe de Poesie, ma il testo definitivo venne pubblicato post mortem nel 1981-83.

Con il Concilio Vaticano II e l’introduzione delle lingue nazionali per la Messa, egli ha avuto un ruolo importante nella redazione della Bibbia per la liturgia cattolica di lingua francese; in particolare partecipò, a partire dal 1964, alla redazione dei Salmi nella Commission Liturgique de Traduction. Morì a Parigi il 28 ottobre 1975.

Quei versi posti come incipit della sua raccolta di poesie sono sconvolgenti, essi hanno il senso e l’andamento  di un salmo biblico. Tutto si racchiude in quei due sostantivi “leggenda” e “freddo”.  Mi ricordano quel passo di Plutarco in cui si dice che c’è una città fantastica dove gli abitanti pronunciano parole che si congelano per il freddo e si scongelano con il caldo; accade perciò che le parole dette dalla gente  d’inverno vengono ascoltate solo con l’arrivo della stagione calda. Nel poeta francese, però, non è data questa possibilità di “scongelamento”, perché il “freddo” di cui parla è connesso con la morte.

I paesi che non hanno più leggenda sono condannati a morire di freddo. In origine la “legenda”, dal latino legenda, cioè da leggersi, si riferiva alla vita di un santo, martire o confessore, di cui doveva farsi la lettura nel giorno della festa. Col tempo e con l’introduzione di elementi fantastici, frutto dell’immaginosa devozione popolare, la leggenda “ha finito per applicarsi a  qualunque racconto che prescinde dalla storia o la deforma, ma che si riferisce a personaggi che sono realmente vissuti, o a figure immaginarie, collegate però con dati luoghi e operanti in un dato tempo” (Enciclopedia Italiana, sub voce). Per quanto fantastiche possano essere le storie narrate, la leggenda suppone sempre:  un legame qualsiasi o storico o topografico con la realtà, uno scopo di carattere religioso o civile valido a esaltare la vita sociale del gruppo, un’amplificazione ideale di un fatto, che viene elevato a simbolo della storia, degli ideali sociali e morali del popolo che lo crea. E sotto questo aspetto la leggenda  simboleggia ciò che vi è di essenziale nel pensiero e nelle aspirazioni dell’anima popolare. La leggenda lavora, anche in maniera inconsapevole, sul dato storico o sociale per innalzarlo a valore rappresentativo del gruppo in cui prende forma.

Non avere “lègende” è come non avere più una identità, non avere un’anima, non avere aspirazioni. La poesia che segue i due versi indicati è un canto sulla desolazione che regna sulla terra nel momento in cui si è lasciato tutto: E’ il paese degli angeli selvaggi, /che non avrebbero potuto nutrirsi d’amore; /come tutte le bestie di transumanza /un segreto le spingeva sempre; /talvolta restavano nel seno degli eletti, /abbandonando la mitezza della terra, /ma sentivano battere nelle loro arterie /il rimpianto dei cieli, che non avrebbero più visto.

Parole, e versi, di  un  “credente”  del ventesimo secolo, la cui fede  non è una semplice certezza, ma una ricerca attraverso gli ostacoli, attraverso l’avventura di una parola sempre precaria: una poesia che per una volta è volutamente messa accanto alla gioia, che  è uno dei nomi di Dio, in una “ricerca di gioia” dove, di fronte alla sfida delle grandi tragedie del secolo scorso, un poeta ha cercato di recuperare il senso della speranza.

 

Il freddo e la leggendaultima modifica: 2010-11-07T08:26:52+01:00da manphry
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