Vincenzo Verace

Una vita per Montevergine

Tra i monaci del monastero di Montevergine sono annoverati diversi verginiani provenienti da Manocalzati. Di essi il più famoso è Vincenzo Verace autore, tra l’altro, della prima opera a stampa riguardante le cose dell’abbazia.

Nel volume manoscritto, rimasto ancora inedito, “I Monaci della Congregazione Verginiana”  una raccolta di notizie sulla vite dei monaci il curatore dell’opera Giovanni Mongelli, nella parte seconda del primo volume che porta il titolo “I Coristi M-Z, dal 1567 al 1972” a proposito del Padre Vincenzo Verace annota:

1567 sacerdote di Aversa

1568-69 sacerdote a Candida

1570 sacerdote a Montefusco

1571 sacerdote a Casamarciano

1572 sacerdote a Salerno

1573 sacerdote Lauro

1574 sacerdote a Candida e Definitore

1575-76 superiore a Candida e Definitore

1577-78 sacerdote a Marigliano

1579-80 Definitore

1581-82 sacerdote a Candida

1583-84 priore di Montefalcione

1585-87 Definitore a M.V.

1588-90 priore a S. Angelo a Scala “Rev. P. fr. Vincentius Verax de Manicalceatis prior Sancti Angeli de Scala”.

1590, necrologio n. 54 del 2 agosto “Vincentius Verax, Sacrae theologiae professor optimum et Sancti Angeli de Scala prior”.  In calce vengono indicati i numeri dell’inventario delle pergamene, dove compare il Padre Verace:  5148, 5210, 5212, 5219, 5221, 5226, 5232, 5318 del Regesto, un’altra monumentale opera del Mongelli.

In Bellabona

Per essere stato il primo autore di un’opera a stampa sull’abbazia di Montevergine Vincenzo Verace viene citato da quasi tutti gli scrittori successivi. Scipione Bellabona, per esempio, a proposito dell’unione del monastero di San Salvatore del Goleto con quello di Montevergine scrive nei suoi Raguagli, pubblicati nel 1656: “ Benché poi ne fu più fiate disunito et unito; passò alla fine alla Nuntiata di Napoli, e da questa l’hebbero l’istessi con pagarne perpetua pensione, come testifica il Verace, Monaco delli medesimi, con altri, nell’historia di Monte Vergine”.

Una biografia settecentesca

Nella seconda metà del secolo XVIII Giovanni Bernardino Tafuri autore di una “Istoria degli Scrittori nati nel Regno di Napoli” in nove volumi, pubblicata tra il 1744 e il 1770, traccia questo profilo del nostro monaco verginiano: “Da giovane abbandonò la città di Napoli sua Patria, e li suoi Parenti, e dedicassi nel celebre Monistero di Monte Vergine totalmente a Dio, vestendo quell’Abito religioso, ove dopo l’anno dell’approvazione, perché era stato dalla natura dotato di acuto e svegliato ingegno, si diede allo studio delle lettere e delle Scienze, nelle quali per mezzo d’una indefessa applicazione divenne assai dotto e versato nella cognizione di quelle, disorteche venne meritevolmente tenuto in molto conto e stima dalli suoi Superiori.”

Il giudizio di Ippolito Marracci

A parte l’inesattezza del luogo di origine, che non è Napoli ma Manocalzati, come vedremo appresso, il Tafuri continua elogiando l’opera storica di Vincenzo Verace: “Oltre l’essere stato nelle Sacre e profane Scienze perito, fu anche sagacissimo e diligentissimo investigatore delle più vetuste memorie del suo Ordine, e di ciò ne diede una chiara prova, allora che scrisse un’ Opera Istorica di quel rinomato Monistero, della quale di presente altra notizia non abbiamo, che quella, che ci lasciò notato il Padre Ippolito Marracci nella Par. 2 pag. 441 della Biblioteca Mariana, ove facendo particolar menzione del Verace, scrisse d’esser stato ingenii doctrinaeque facultate praestans, at de suo Ordine virtute et literis benemeritus Mariae Deiparae Virgini mira devozione addictus (insigne per dottrina ed ingegno, benemerito del suo Ordine per le opere letterarie e per la virtù, votato  con straordinaria devozione alla Vergine Maria Madre di Dio)”.

E a proposito delle opere del Verace aggiunge: “ Scripsit Historia Sanctissimae Imaginis quae in Virgiliano Monte Regni Neapolitani religiosissime colitur (Scrisse una Storia della Sacra Immagine che con molta devozione si venera sul Montevergine del Regno di Napoli). Se quest’Opera avesse (sic) uscita alla pubblica luce per mezzo delle Stampe o avesse rimasta (sic) manoscritta, a me non è noto. E’ certo però, che costui mancò in quest’anno 1566”.

Ancora una inesattezza cronologica. Nel 1566 Padre Verace era vivo e vegeto; infatti lo troviamo a Roma nella veste di procuratore della congregazione. Importante è, invece, in questo profilo biografico il giudizio riportato  di Ippolito Marracci (Torcigliano di Camaiore 18.02.1604- Roma 19.05.1675) dell’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio, uomo di straordinaria cultura, bibliofilo e teologo di profonde intuizioni, autore, tra l’altro, della “Biblioteca mariana alphabetico ordine digesta” del 1648. Il Marracci per esprimere il lusinghiero giudizio sopra riferito certamente aveva letto le opere del nostro Verace e ne aveva ammirato la devozione mariana.

Il paese di origine

La data di nascita di Vincenzo Verace non è riportata negli scrittori che di lui si sono interessati. Che sia di Manocalzati lo dichiara l’autore stesso nella prefazione alla prima edizione dell’opera “La vera istoria delle origini e delle cose notabili di Montevergine…” stampata a Napoli nel 1585, dove si firma “Don Vincenzo Verace da Manicalciati”. Nell’archivio della parrocchia “San Marco Evangelista di Manocalzati il registro dei battezzati più antico, che vi si conserva, riporta i battisimi dal 1561 e a quella data il nostro verginiano era già nell’Ordine. E’ probabile che la sua nascita debba risalire ai primi decenni del secolo XVI. Il cognome Verace,comunque, è attestato per i secoli passati a Manocalzati.

La notizia riportata dal Tafuri sulla origine napoletana del nostro non trova riscontro. Che a Napoli abbia compiuto i suoi studi può essere una supposizione non azzardata. Fatto sta che Vincenzo Verace è anche un esperto paleografo; è lui, infatti, che trascrive da codici in scrittura beneventana (così viene oggi definita la scrittura che nel passato era detta longobarda) la vita del santo fondatore, Guglielmo da Vercelli.

Una fondazione verginiana a Roma

Oltre che alla sua opera di storico, Vincenzo Verace si distinse nell’Ordine perché fu l’animatore di alcune importanti nuove fondazioni. “Fin dal maggio 1566 –scrive Giovanni Mongelli nella sua monumentale “Storia di Montevergine e della Congregazione verginiana”-, noi troviamo che fra Barbato Ferrato, vicario generale della congregazione, elegge procuratore di tutta la congregazione in Roma fra Vincenzo Verace, allora residente in Roma, per il particolare incarico di ottenere dalle competenti autorità un qualche luogo o parrocchia in quella città, dove sembrerà opportuno allo stesso procuratore, per costruirvi una chiesa e un monastero di Montevergine”.

E Vincenzo Verace ottenne dalle competenti autorità la chiesa di Sant’Agata dei Goti, che si trova nei pressi del palazzo oggi sede della Banca d’Italia. Nel 1568, infatti, soppressa la parrocchia, la chiesa di Sant’Agata dei Goti venne affidata ai Benedettini Umiliati, un ordine sorto come movimento evangelico di perfetta vita cristiana tra i lavoratori della lana dei sobborghi delle città lombarde, tra il 1170 e il 1178. Dopo alterne vicende, che videro gli Umiliati dal grande sviluppo nel secolo XIII alla decadenza nei secoli XIV e XV,  “nella metà del Cinquecento, scrive il Mongelli, San Carlo Borromeo, loro protettore, ne tentò la riforma, ma incontrò una forte resistenza da parte dei loro prevosti, alcuni dei quali giunsero ad organizzare, il 26 ottobre 1569, un feroce attentato alla vita del santo cardinale. Il papa San Pio V procedete all’esecuzione dei responsabili dell’attentato e nel 1571 soppresse l’Ordine, che in quel momento contava 94 prepositure con 170 religiosi”. Nel 1579 il papa Gregorio XIII concede la chiesa ai verginiani di Montevergine, che ottengono nel 1600 l’erezione del loro monastero in abbazia. Nella prima metà del secolo XIX il monastero viene ceduto alle Maestre Pie Filippini e il papa Gregorio XVI (1831-1846) concede la chiesa e il monastero al collegio irlandese di Roma.

E un’altra in Irpinia

Un’altra fondazione verginiana sorse nella seconda metà del Cinquecento per opera di Vincenzo Verace, il monastero di S. Maria di Loreto in Montefalcione.

I promotori di questo nuovo monastero furono Lucrezia Montefalcione, madre dei marchesi Ottavio e Antonio Poderico. Scrive in proposito Giovanni Mongelli: “Si erano già presi i convenienti accordi col definitore Don Vincenzo Verace e col vicario generale Don Barbato Ferrato, ma, per ottenere più facilmente il beneplacito apostolico, si credette bene di far passare la supplica per le mani di Alessandro Sforza, cardinale protettore della congregazione verginiana. Il sommo pontefice diede il suo beneplacito con un breve del 15 marzo 1577”. Per quanto riguarda il ruolo svolto dal verginiano di Manocalzati, aggiunge il Mongelli: “Don Vincenzo Verace si mostra sommamente attivo per tutto quello che si possa riferire a questa fondazione, il 30 gennaio 1578 ottiene dall’ordine dei padri predicatori la licenza per l’erezione della confraternita del Salterio o Rosario di Maria Santissima e la costituzione della cappella e altare del Rosario in quella chiesa verginiana”. Malgrado contrasti e vertenze nel 1611 il monastero di Montefalcione fu elevato alla dignità di abbazia, condizione nella quale rimase fino alla soppressione nel 1807.

Le opere storiografiche

Delle opere scritte da Vincenzo Verace a noi sono giunte quella intitolata “La vera istoria dell’origine e delle cose notabili di Montevergine..” curata da Tommaso Costo e pubblicata a Napoli nel 1585; una seconda edizione della stessa opera del 1591, quando il Verace era già morto, che indica come autore il solo Tommaso Costo; il manoscritto originale in latino, da cui viene tratta l’edizione in italiano del 1585, che reca il titolo “Cronica Congregationis et Monasterii Montis Virginia, 1576” ed è conservato nella Biblioteca Vaticana. E a queste potrebbe essere aggiunta l’altra opera di cui parla il Marracci, e cioè “Historia sanctissimae Imaginis quae in Virgiliano Monte Regni Neapolitani religiosissime colitur”; ma di essa il Tafuri non sa dire se fu pubblicata o rimase manoscritta.

Il prezzo di una collaborazione

“La vera istoria  dell’origine  e delle cose notabili di Montevergine” ha avuto una  vicenda editoriale controversa. Fatto è che nell’edizione del 1585 accanto al nome del Verace compare quello di Tommaso Costo (1545-1620) celebre poligrafo e letterato napoletano, autore tra l’altro di una raccolta di novelle intitolata Le otto giornate del fuggilozio, pubblicata nel 1606.

Nella premessa sono riportate due lettere, una indirizzata da Tommaso Costo a Vincenzo Verace, l’altra la risposta di costui. Nella prima, datata Napoli 6 febbraio 1585 il Costo mette in rilievo il lavoro di revisione del testo propostogli: “Della fatica da me durata intorno a quest’opera Vostra Paternità n’è a pieno informata, siccome della tardanza e delle difficoltà del darla fuora la prima volta”; e continua sottolineando il proprio merito: “Non ho risparmiato fatica sollecitudine e diligenza alcuna: ma tuttociò non avrebbe importato nulla, se io avessi, come non ho risparmiato la spesa, per farla venir fuora a quanto più bella sia stato possibile; con averla arricchita di sei miracoli, oltre a i quattro che v’erano, ove si tratta del non potersi mangiar carne in Montevergine”.

La risposta del Verace  una decina di giorni dopo: “Havendo io rozamente, molti anni sono, trascritta dalle antique scritture della mia Congregazione questa presente opera, non mi rallegro tanto di essa, quanto che sia al tempo e data alle mani di Vostra Signoria la quale con l’arte, prudenza e giudizio suo l’ha imbellita illustrata e datale meglior forma…poiché so certo, che come, non ha risparmiato fatica e diligenza in pulirla e migliorarla, così non ha risparmiato sollecitudine diligenza e spesa, per farla uscire quanto più bella sia stato possibile”.

Oltre le due lettere di reciproca stima che gli autori si scambiano, nella presentazione dell’opera ai lettori il Costo così scrive: “Le cose, benigni lettori, che in quest’opera si contengono furono con non manco fedeltà, che fatica e diligenza raccolte dal Reverendo don Vincenzo Verace  monaco della congregazione di Montevergine, persona, oltre all’essere versatissima nelle sacre lettere, ornata di lodevoli qualità, e di maturo giudizio. Ma, come professore più tosto della Latina, che della Toscana favella, non fidandosi, che queste sue fatiche potessero comparire al vostro cospetto, senza l’aiuto di qualche amico, le diede e raccomandò a persona, la quale per la conoscenza più, che per altro, c’haveva meco, mi fece instanza, ch’io le rivedessi”.

Da parte sua il Verace rivolgendosi ai lettori, così scrive : “Ho voluto raccogliere questa presente operetta, dove si ragiona primamente della vita, de’ costumi e de’ miracoli fatti in vita, e dopo morte, per gratia di Nostro Signore dal beato Guglielmo, il che fedelmente ho trascritto secondo il senso della leggenda Longobarda composta dal Padre Giovanni della città di Nusco”. Più avanti chiarisce: “La qual opera ho determinato dare in luce in lingua nostra Italiana ad honore di Dio e della Madre Santissima e per satisfare a molte persone devote della detta congregatione, che me ne han fatto più volte instanza, e così a miei fratelli, la maggior parte de’ quali sapeva, che forse dieci anni sono io l’haveva scritta in lingua Latina, cavata da diversi istrumenti d’altre scritture antichissime, però autentiche, che si conservano nell’archivio di Montevergine, ove stava, si può dire, involta nelle tenebre”.

La prima storia di Montevergine?

L’annotazione finale della presentazione è una velata accusa del Verace a  coloro che appropriandosi del  suo lavoro hanno pubblicato, alterando il testo originale, delle storie poco veritiere (Va ricordato che a quel tempo non esisteva il diritto d’autore e chiunque veniva in possesso di un lavoro manoscritto lo dava alle stampe senza alcuna remora o rispetto per l’autore): “La quale operetta latina capitando contra mia voglia in mano d’alcuni l’hanno depravata mescolandovi molte cose false e più tosto sognate, che lette, o vero dagli antichi per continovata memoria intese”.

Per comprendere il riferimento del Verace a quelli che si appropriano delle opere altrui, va detto che nel 1581 Felice Renda aveva pubblicato, con anticipo di qualche anno, un libro, in latino, intitolato “Vita et obitus Santissimi Confessoris Guilielmi Vercellensis; e Paolo Regio nel 1584 un’altra opera, in italiano, con il titolo “Le Vite del Santo Padre Guglielmo…e di S. Amato”.

Gennaro Passaro, che ha studiato la tradizione bibliografica su Sant’Amato da Nusco ed ha raccolto i suoi approfonditi studi in un volume, edito nel 1993, di “Bibliografia storica ragionata” sul patrono della città altirpina, a proposito del libro di Vincenzo Verace scrive: “L’opera, benché compilata da dieci anni, era rimasta inedita per cui non si prova alcuna sorpresa se, dopo la comparsa delle opere del Renda e del Regio, l’Autore stesso non esita a dichiarare espressamente: la quale operetta latina, capitando contro mia voglia in mano d’alcuni…Fu questa la ragione del titolo La vera Istoria, dove l’aggettivo vorrebbe far capire che sarebbero “false” sia quella del Renda che la traduzione del Regio, pur senza nominare i singoli autori”.

Un lavoro filologico per dipanare la questione se il Verace sia il primo autore di una storia di Montevergine sarebbe auspicabile; non fosse altro per dare onore al merito. “Oggi –scrive ancora Gennaro Passaro- risulta veramente difficile stabilire quale dei due scrittori verginiani (Renda e Verace) abbia scritto per primo la Vita di San Guglielmo, considerato che entrambi utilizzarono, per ovvi motivi, le stesse fonti storiche.

Privato anche del nome

Ben più grave fu il comportamento di Tommaso Costo che ristampò l’opera nel 1591, cioè dopo la morte di Vincenzo Verace. Egli cambiò il titolo, l’editore e il luogo di stampa: Istoria dell’Origine del Sagratissimo luogo di Montevergine, in Venezia presso Barezzo Barezzi, 1591.

“Quest’opera –commenta Gennaro Passaro- non è altro che la ristampa di quella precedente (del 1585) la quale, a detta dello stesso Costo, era ormai esaurita…In questa edizione non compare più la dichiarazione dello scrittore verginiano, il quale era morto poco prima della pubblicazione. Fu anche questa, forse, la ragione per cui il Costo compare come autore unico dell’opera”.

E fu una grave scorrettezza.

 

Vincenzo Veraceultima modifica: 2008-09-06T23:27:00+02:00da manphry
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