Cavalli irpini

Quando si vuole indicare una persona che eccelle in qualche attività si suole dire che è “di razza”, senza per questo voler fare una discriminazione di carattere razziale. Per i cavalli, poi, essere di razza  è una qualità di cui menare vanto.

Un suggerimento disatteso.

Chi l’avrebbe mai detto che in età romana gli Hirpini erano anche degli ottimi allevatori di cavalli, tenuto conto che il territorio non sembra proprio prestarsi a questo tipo di allevamento. Ne parlò

nel 1968 sulla rivista Hirpinia  Gerardo Bianco in un articolo intitolato proprio “I cavalli irpini”. Peccato che i suoi suggerimenti bibliografici   non siano stati successivamente  utilizzati per approfondire aspetti della storia antica di questa provincia campana.

Allevatori di cavalli erano gli Avilli; una famiglia originaria della Sabina, ma che è attestata anche nell’ Irpinia come dimostra l’epigrafe su un’edicola funeraria del I secolo a . C. ritrovata a Cassano Irpino:

M(arcus) Avillius Maxs/imus(!) Caesianus / [3 Av]ill(io) Acoristo fratri/bus Caresia C(ai) l(iberta) mat(er).  AE 1997, 00382.

 

Una famiglia intraprendente.

Il nome di questa famiglia si trova anche in altre parti d’Italia. In Valle d’Aosta, per esempio, dove il villaggio di Pont d’Aël , in Val di Cogne, sulla riva destra del torrente Grand’ Eyvia, si trova nelle immediate vicinanze di un ponte-acquedotto di età romana: una grandiosa opera in muratura e blocchi di pietra da taglio, alta 56 m. circa dal livello del corso d’acqua, per una lunghezza che supera i 50 m.; un’iscrizione collocata sul fronte nord consente la sua datazione all’anno 3 a. C. e ne ricorda il promotore e proprietario, un Caius Avillius Caimus  Patavinus (originario di Padova).

 

In Basilicata si vuole che il comune di Avigliano derivi il suo nome dal genitilizio latino  Avillius, vale a dire  dal nome di una famiglia localmente eminente. In buona sostanza gli Avilli erano intraprendenti imprenditori nelle attività minerarie, si veda l’iscrizione di Pondel in Val di Cogne, o proprietari terrieri, se il prediale Avigliano in Basilicata è da ricondurre al gentilizio Avillius.

Nel museo di Pula (Cagliari) una coppa ( rep. 140949) proveniente dalla Necropoli di Nova Istmo S. Efisio con decorazione a bacellature è del ceramista aretino L. Avillius. Un altro Avillio di Larino, ma non certamente un imprenditore, troviamo nell’orazione di Cicerone “Pro Cluentio” (XIII, 36): Fuit Avillius quidam Larino perdita nequitia et summa egestate, arte quadam praeditus ad libidines adulescentulorum excitandas accommodata: qui ut se blanditiis et adsentationibus in Asuvi consuetudinem penitus immersit, Oppianicus continuo sperare coepit hoc se Avillio tanquam aliqua machina admota capere Asuvi adulescentiam et fortunas eius patrias expugnare posse.

Nel 66 a.C. una fosca vicenda scuote Roma: Oppianico il giovane, figlio del defunto Stazio Albio Oppianico e di Sassia, accusa Cluenzio Abito – figlio di primo letto della donna e quindi figliastro di Oppianico – di aver avvelenato il patrigno per vendicarsi di un analogo tentativo che il patrigno stesso avrebbe compiuto ai suoi danni. Si scopre così la lunga catena di delitti commessi da Oppianico il vecchio per interesse e la corruzione dei magistrati che lo avevano assolto in un precedente processo intentatogli da Cluenzio.

E potremmo continuare la ricerca scoprendo altri Avillius, sparsi un poco per l’Italia tutta. Ma ritorniamo agli Avilli di casa nostra. Perché c’è qualcosa che riconduce questi imprenditori all’allevamento di pregiate razze equine.

Febbre da cavallo.

In una epigrafe di Roma il nome di un Avillius compare insieme con quello di un famoso cavallo, che nelle corse del circo aveva riportato un sacco di vittorie e aveva entusiasmato migliaia di spettatori:

Aquilo n(iger) k() Aqui/lonis vicit CXXX / secund(as) tul(it) / LXXXVIII / ter(tias) / tul(it) / XXX/VII // Hirpinus n(iger) Aqui/lonis vicit CXIIII / secundas tulit / LVI tert(ias) tul(it) / XXXVI // D(is) M(anibus) / Claudia Helice / fec(it) L(ucio) Avill(io) Dionysio / cond(itori) gr(egis) russatae / coniug(i) dignissi(mo).  CIL 06, 10069

 

Guarda caso uno dei due cavalli menzionati nell’epigrafe porta il nome di Hirpinus. E questa signora Claudia Helice ricorda i cavalli insieme con il marito defunto che della squadra dei Rossi era stato il fondatore o, potremmo dire con riferimento al nostro tempo, lo sponsor ufficiale.

 

Ma il nome degli Avilli, legato alle corse dei cavalli, compare in altre epigrafi di Roma:

 

D(is) M(anibus) / L(ucio) Avilio Galatae / fact(ione) russ(ata) lib(erto) item / Iuliae C(ai) lib(ertae) Ampliatae / C(aius) Iulius Primus / patronae b(ene) m(erenti) f(ecit) / sibi posterisq(ue) / suorum.  CIL 06, 10077.

 

E  con riferimento, molto probabilmente, alla squadra dei Rossi un altro Avillius:

 

Imp(eratore) [[[Domitiano–] Aug(usto) / Germanico XV / M(arco) Cocceio Nerva II co(n)s(ulibus) / Thallus Agitator L(uci) Avilli Plantae ser(vus) / dominum Silvanum de suo / posuit item dedicavit.          

 

Un fantino dimenticato

 

Raimondo Guarini trascrive una epigrafe trovata a Frigento, ma che non venne accolta nel CIL forse perché considerata spuria, in cui viene nominato non un cavallo ma un fantino:

 

C. Cepedio Nigerio / Aufustiano / Invicto Aurigatori / In faction varis plu / ries agitato semper / victori ab imp Domi / tiano Aug Caes plu / ries coronato pre / misqu III aucto p.s. / vix ann LXIV M III / Lucilia Apulleia uxor / mar b m fe.

 Nella traduzione italiana, l’epigrafe così suona: A Caio Nigerio Aufustiano, auriga invitto. Corse con varie scuderie più volte e sempre da vincitore. Fu più volte coronato dall’imperatore Domiziano Augusto Cesare e per tre volte ricevé il premio e una gratificazione in denaro dallo stesso imperatore. Visse 64 anni e 3 mesi. La moglie Lucilia Apuleia eresse questo sepolcro al marito che ha ben meritato.

 

Una carriera brillante, quella del nostro fantino. Ma sulla sua presenza nel territorio irpino Nicola Gambino si poneva delle domande: “Originario o no dell’Irpinia perché ha preferito lavorare in questa terra? Molte volte gli atleti che hanno raggiunto un buon livello di notorietà quando lasciano il campo si dedicano ad attività collaterali: allenatori, manager, ecc. Non avrà fatto una cosa del genere il nostro Caio Cepidio? E quale altra attività poteva scegliere se non l’allevamento razionale o il commercio dei cavalli irpini?”.

 

I cavalli irpini.

 

Allevamento e commercio nelle tenute degli Avilli, perché i cavalli irpini avevano raggiunto una notevole notorietà, tanto che Giovenale nella Satira VIII, 57-61 scrive:

 

dic mihi, Teucrorum proles, animalia muta / quis generosa putet nisi fortia. nempe uolucrem /
sic laudamus equum, facili cui plurima palma / feruet et exultat rauco uictoria circo; / nobilis hic, quocumque uenit de gramine, cuius /   clara fuga ante alios et primus in aequore puluis. / sed uenale pecus Coryphaei posteritas et / Hirpini, si rara iugo uictoria sedit.

 

Così noi tessiamo le lodi del cavallo veloce come un uccello, delle cui vittorie facilmente acquisite si entusiasma ed esulta il circo; esso è nobile, da qualunque pastura provenga,  distanzia tutti gli altri con una corsa brillante e per primo fa volare la polvere della pista; gli altri invece, quelle rare volte che la vittoria arride loro, lodano la razza e i cavalli irpini.

Panem et circenses.

 

I Romani andavano pazzi per i “ludi” e ne avevano per tutti i gusti: nel circo si svolgevano i “ludi circenses” e “gladiatorii, in teatri stabili o posticci quelli “scaenici “ o “theatrales”, nelle pubbliche piazze i “ludi compitalicii”. Ogni occasione era buona per organizzare uno spettacolo; in 65 giorni nell’anno, quelli delle festività fisse, si celebravano “ludi”; poi c’erano le festività mobili, i compleanni, l’anniversario dell’elezione a qualche carica pubblica ecc. E’ stato calcolato che nel IV secolo d. C. il popolo romano aveva la possibilità di essere spettatore di “ludi”  per 175 giorni in un anno. Un numero eccessivo di feste? Forse. Un confronto con i nostri giorni : proviamo a sommare tutte le feste, le sagre ecc. che si svolgono in un anno nei nostri paesi!

Come allevare cavalli vincitori.

 

Si può pensare che la selezione e l’allevamento dei cavalli da corsa si facesse a quei tempi secondo criteri e metodi simili a quelli che si praticano ai nostri giorni. Lo scrittore  Columella, originario della città di Cadice, e contemporaneo di Seneca, nel suo trattato  De re rustica a proposito degli animali equini così scrive:

Quod ipsum tripartito dividitur. Est enim generosa materies, quae circo sacrisque certaminibus equos praebet. Est mularis, quae pretio foetus sui comparatur generoso. Est et vulgaris, quae mediocres feminas maresque progenerat.

La razza equina  si divide in tre categorie:  c’è difatti la razza nobile che fornisce i cavalli per il circo e le competizioni sacre;  c’è la specie mulina che gli è comparabile per la generosa sua prole;  c’è la specie comune che produce delle femmine e dei maschi ordinari.

E aproposito dell’allevamento aggiunge: Generosam convenit alternis continere, quo firmior pullus lacte materno laboribus certaminum praeparetur.

Una giumenta di razza deve figliare solamente un anno su due, affinché il puledro sia reso più resistente per le competizioni grazie al latte materno. (Columella, VI, 27)

 

Provatevi a immaginare come dovevano essere le tenute degli Avilli in territorio irpino, che se non è ricco di pianure certamente abbonda di prati e di pascoli. Nella fattoria degli Avilli si selezionavano i cavalli per renderli competitivi negli anfiteatri della penisola. Perché  quelli locali (abbiamo solo l’esempio di Avella) non potevano competere per grandezza e importanza con quelli della capitale: il Circo Massimo, secondo Plinio il Vecchio, poteva contenere 225.000 spettatori.

Sempre Columella ci fornisce altre utili indicazioni sull’allevamento dei cavalli nel mondo romano:

Cum vero natus est pullus, confestim licet indolem aestimare, si hilaris, si intrepidus, si neque conspectu novae rei neque auditu terretur, si ante gregem procurrit, si lascivia et alacritate interdum et cursu certans aequales exsuperat, si fossam sine cunctatione transilit, pontem flumenque transcendit. Haec erunt honesti animi documenta.

 

Quando il puledro è nato, bisogna farsi immediatamente un’idea della sua indole:  deve essere vivace, coraggioso, non spaventarsi alla vista o al rumore di cose nuove, correre in testa alla mandria, prevalere sugli altri per la sua voglia di vivere, il suo ardore talvolta e la sua voglia di misurarsi nella corsa, saltare un fossato senza esitazione, superare un ponte ed un fiume. Ecco gli indizi di un carattere decoroso. (Columella, VI, 29).

 

Si cercano, infatti, i cavalli che siano adatti proprio alle competizioni circensi e  a sopportare lo stress di esse. Si alleva correttamente per il suo uso personale un cavallo di due anni, ma bisogna aspettare che compia  i tre anni per le competizioni, con l’accortezza  di  fargli sopportare la prova delle corse solo dopo il  quarto anno.

 

Un cavallo da corsa cominciava il suo allenamento a tre anni , e si cimentava a correre nel circo a cinque anni, e da quel momento poteva aspirare poi ad una lunga carriera. Sebbene i cavalli irpini siano citati da alcuni autori latini, le razze equine più rinomate provenivano dalla Spagna e dell’Africa (come i cavalli “  Getuli”). Dall’altra sponda del Mediterraneo  i cavalli da competizione venivano trasportava a bordo di navi appositamente costruite, e che erano chiamate hippago.

 

Tifo da stadio.

 

Oggi non ci meravigliamo più di tanto per la passione che i tifosi mettono nel sostenere la propria squadra di calcio (non ci va giù la violenza, che è un’altra cosa), ma duemila anni fa c’era più di qualcuno che proprio non sopportava le gare di cavalli nel circo. Ecco come Plinio il Giovane si esprime in proposito in una sua famosa lettera (X, 6) : « Si svolgevano i giochi del circo ed io non sento la minima inclinazione verso questo genere di spettacoli. Non c’è nulla di nuovo, nulla che sfugga alla monotonia, nulla che non basti d’aver visto una volta sola. Perciò è tanto maggiore la mia meraviglia che tante migliaia di uomini, ridiventando fino a quel punto ragazzi, desiderino periodicamente contemplare dei cavalli al galoppo e degli aurighi piantati sui cocchi. Se poi il loro entusiasmo nascesse dalla velocità dei cavalli o dalla maestria degli aurighi, questa passione avrebbe ancora una qualche giustificazione : ora invece fanno tifo per una maglia, spasimano per una maglia e se, proprio nello svolgersi della corsa e nel cuore della competizione, questo colore passasse di là e quello venisse di qui, si scambierebbero anche l’ardore ed il tifo ed abbandonerebbero di colpo i celebri guidatori, i celebri cavalli che sogliono riconoscere da lontano e di cui non si stancano di gridare i nomi (traduzione di F. Trisoglio, Utet).

 

Come le squadre di calcio.

 

Gli spettatori, e sostenitori, nelle corse dei cavalli si dividevano in quattro squadre : la Bianca, l’Azzurra, la Verde e la Rossa o Russata. Questi erano i colori dei carri dei concorrenti e le loro casacche. Il tifo era molto simile a quello di uno stadio durante un derby di calcio tra due squadre cittadine. Le squadra più antiche erano l’Albata e la Russata a queste si aggiunsero durante l’impero le altre due la Veneta (azzurra) e la Praesina (verde). Sotto Domiziano si introdussero altre squadre di nuovi due colori, porpora e dorata ; ma la loro presenza fu di breve durata.

 

I sostenitori delle squadre (factiones) anche nel loro abbigliamento non facevano mancare i colori del cuore. Essi avevano i loro club, come oggi  le squadre di calcio, dove si riunivano e dove preparavo le strategie da tenere nello stadio per sostenere i propri idoli, con le stravaganze che si possono immaginare. L’imperatore Caligola, dice Svetonio, era un tifoso della squadra dei Verdi e trascorreva l’intera giornata nel Campo di Marte per stare vicino ai suoi « colori ».

 

E così i nomi di famosi aurighi furono immortalati nel marmo e sono giunti fino a noi :

 

CIL VI, 10063

Dis Manibus. Muscloso agitatori factionis russeae, natione Tuscus. Vicit palmas DCLXXXII, in factione alba III, in factione prasina V, in factione veneta II, in factione russea DCLXXII. Apuleia Verecunda coniunx marito carissimo posuit.

 

Agli dei mani. A Muscolo auriga della squadra Russata, di origine toscana, ha ottenuto 682 palme della vittoria, tre volte con i Bianchi, cinque volte con i Verdi, due volte con gli Azzurri e 672 con i Rossi. Apuleia Verecunda sua sposa ha fatto innalzare questo monumento alla memoria di suo marito.

AE 1906, 106

Hyla agitator Panni Veneti. Vixit annos XXV, biga puerili vicit VII, quadriga XXI,

 

revocatus III, secundas XXXIX, tertias XLI.

 

Hyla, auriga della squadra degli Azzurri. Ha vissuto 25 anni, ha riportato sette vittorie  con le bighe degli juniores, 21 vittorie con le quadrighe, 3 volte è stato retrocesso, per 39 volte si è piazzato  secondo, e 41 volte  ha ottenuto il terzo posto.

E gli esempi sono tanti. Nomi di aurighi e nomi di cavalli accomunati nella vita come nella morte, a noi lasciati incisi su pietre, ma che ci portano l’eco delle folle acclamanti nei circhi di tanti secoli fa, per una passione sportiva che non conosce limiti temporali e confini territoriali.

                                                       

                                                                   

 

 

 

 

 

 

Cavalli irpiniultima modifica: 2008-05-15T20:51:14+02:00da manphry
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