Sacro e sagra

L’estate ormai è finita da un pezzo. I mesi autunnali segnano la ripresa di tutte le attività che nei  mesi dell’estate  erano state sospese in tutto o in parte. Atque in se sua per vestigia volvitur annus (l’anno si avvolge su se stesso, ritorna sulle sue orme) (Virgilio, Georgiche, 2, 402).

Senza nulla togliere al periodo di riposo, di vacanze, di spensieratezza tipico della stagione estiva, non si può non rilevare come in questi ultimi trent’anni le nostre estati (almeno quelle delle zone interne della Campania doce io abito) oscillino, come il pendolo, tra il “sacro” e il “sagro”, o meglio la “sagra”.

Il santo, il patrono in particolare, è riferimento indiscusso per le comunità, che partecipano generosamente alla realizzazione delle feste, con tanto di luminarie, musica e fuochi d’artificio.

Vicino o lontano che guardiamo, non si può non notare un affievolimento del senso religioso che spesso rasenta l’indifferenza verso la Chiesa. Lo sdegno che suscitano degli atti abominevoli perpetrati da alcuni sacerdoti e religiosi nel mondo,  presentati ad arte dai mezzi di comunicazione per gettare discredito, certamente contribuisce ad accelerare il clima di sospetto verso ciò che è sacro e l’allontanamento progressivo dalla vita della Chiesa locale soprattutto nelle sue manifestazioni liturgiche. Ad eccezione, naturalmente, degli eventi più significativi della vita di un uomo: la nascita, il matrimonio, la morte.

Per noi occidentali ( indoeuropei, per origine linguistica)   il fenomeno religioso  è  legato alla parola sacro (dalla radice indoeuropea  sak, da cui sakros ). E si può rilevare come nella storia  tutte le espressioni religiose siano organizzate intorno al sacro.  Il sacro non  coincide con la normalità. Esso evoca  l’idea della straordinarietà, qualcosa che è oltre il quotidiano, il normale: lo spazio sacro infatti è lo spazio separato da quello ordinario; il tempo sacro è un tempo straordinario, oltre la scansione dei giorni e dei mesi. Per Georges Dumézil (1898-1986), storico delle religioni, filologo e linguista francese,   la radice indoeuropea sak  sta a indicare il fondamento del reale e tocca la struttura fondamentale degli esseri e delle cose,  la relazione con gli dei e la conformità con il reale. Dalla radice sak  deriva il verbo sancire, l’aggettivo sacer e il  sakros del Lapis Niger della Roma dell’epoca monarchica. Altri studiosi, come Mircea Eliade (1907-1986), hanno dimostrato come per la mentalità arcaica, tradizionale, sacro equivale alla realtà per eccellenza (Mircea Eliade, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1973), a ciò che esiste in massimo grado, con la massima intensità;  Huguette Fugier ha notato come la radice sak-, che sta alla base di tutte le parole indoeuropee indicanti il sacro, presenta un immediato riferimento con l‘essenza del reale, con i suoi fondamenti più veri e concreti (H. Fugier, Recherches sur l’expression du sacré dans le lingue latine. Parigi, Les Belles Lettres, 1963). Julien Ries afferma che, «per il pensiero indoeuropeo, il sacro costituisce una realtà fondamentale dell’esistenza» (J. Ries, Il sacro nella storia religiosa dell’umanità, Jaka Book, Milano 1981). Alla parola “sacro” si lega  il termine sancire, che Isidoro di Siviglia così spiega: “Sancire est autem confirmare et irrogazione poenae ab iniuria defendere; sic et leges sanctae et muri sancti esse dicuntur”, e nella traduzione italiana: sancire significa confermare e proibire un’ingiustizia sotto minaccia di pena. Da qui anche il fatto che si parli di leggi sante e muri santi.

La ricerca scientifica moderna, frutto della cultura e della mentalità occidentali, è giunta a contraddire nettamente tale assunto: oggi il sacro equivale a fantasia e irrealtà; la scienza, invece, si caratterizza per le sue conoscenze e i suoi dati “concreti”.

La Chiesa, che ha preso atto come negli ultimi secoli   tra i fedeli che partecipavano all’assemblea (ecckesìa) si era giunti quasi all’incomunicabilità, nella riflessione conciliare e post conciliare ha dato spazio ai linguaggi non verbali (la comunicazione sonoro-verbale, per esempio).

Il proliferarsi delle “sagre” in questi ultimi decenni può sembrare quasi un modo nuovo di avvicinarsi al “sacro” . “Forse la svolta epistemologica più gravida di conseguenze nel nostro tempo riguarda proprio la considerazione dei linguaggi non verbali che non sono semplici materiali sensoriali a cui si applica la ragione ma vere e proprie forme di pensiero” (intervento di mons. Felice di Molfetta al convegno Lo spazio sacro come spazio visivo e sonoro, Progettazione di chiese: il problema dell’acustica, Bari 1-3 giugno 2006).

                                                                                                   

Sacro e sagraultima modifica: 2010-11-11T17:36:50+01:00da manphry
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