la Campania normanna

QUANDO I NORMANNI SCOPRIRONO LA CAMPANIA 

La Campania   si presentò ai primi Normanni, che vi giunsero intorno all’anno Mille, come un territorio particolarmente fortunato sia per la fertilità del suolo sia per la prosperità delle sue città. La zona costiera, però, si presentava economicamente più interessante per i traffici con i paesi che si affacciano nel Mediterraneo; quella interna, appenninica, era meno ricca economicamente, ma  con una sua vitalità sociale e culturale.

Politicamente le città della costa riconoscevano, anche se solo  formalmente, l’autorità dell’Imperatore Romano d’Oriente, mentre quelle dell’interno rientravano a pieno titolo nella Langobardia minor, frutto dell’unione ormai secolare dei latini con i longobardi. Nello stesso territorio culture e popoli diversi si confrontavano, spesso lottando aspramente tra loro, si integravano e si fondevano.

Dal mare provenivano la prosperità e la ricchezza, ma anche le minacce più gravi. La Sicilia in mano ai Musulmani costituiva un pericolo costante non solo per le popolazioni rivierasche, ma anche per quelle dell’interno. I pirati saraceni non conoscevano ostacoli alle loro scorrerie. Nel sec. IX furono saccheggiate e distrutte, tra le altre, le città di Miseno, Formia, Fondi e Capua. I Saraceni stanziati in Puglia distrussero Telese, Alife e saccheggiarono perfino Benevento, la capitale del Ducato. Nemmeno le chiese e le abbazie furono esenti da razzie.

Il Ducato di Benevento, che sopravvisse alla caduta del regno longobardo avvenuta per opera di Carlo Magno nel 772, non comprendeva più nella seconda metà del IX secolo Salerno e Capua, diventate a loro volta dei principati autonomi. Una guerra scoppiata fra Siconolfo e Radelchi, comportò nell’anno 849 la spartizione del Ducato in due Principati, Benevento a Radelchi e Salerno a Siconolfo. Ma, come scrive Erchemperto nella Historia Langobardorum Beneventanorum: Set, quod peius, provincia in multis divisa ad exitium magis quam ad salutem de die in diem a dominatoribus ducebatur (ma, il che è peggio, la provincia divisa in molte parti di giorno in giorno dai suoi dominatori era condotta alla rovina piuttosto che alla salvezza). Tra i secoli X e XI il territorio del Ducato beneventano si ritrovò ridotto di territorio non solo per la divisione avanti accennata, ma anche per effetto della riconquista di altre località da  parte dei Bizantini e per la nascita di nuovi poteri autonomi nelle Contee.

Il Mezzogiorno continentale,  la Campania in particolare, soffriva di un persistente stato di ribellioni: il potere sul territorio tendeva a frazionarsi in mille potentati locali. In concreto si trattava di una usurpazione continua da parte di nobili e di gruppi familiari, ma anche di enti ecclesiastici, delle prerogative proprie dell’autorità riconosciuta, duca o principe che fosse.

Pellegrini e guerrieri.

La fama di ricchezze del nostro Meridione e della Sicilia lusingava non poco avventurieri in cerca di fortuna e di gloria. E anche i Normani, che fecero la loro apparizione al Sud intorno all’anno Mille, dovettero credere che le nostre regioni fossero il paese di Bengodi.

Essi venivano dalla lontana penisola di Normandia, dove i loro antenati Vichinghi si erano stabiliti e avevano ottenuto con Rollone nel 911 il riconoscimento ufficiale del Ducato di Rouen da parte del re di Francia.

I guerrieri normanni si erano conquistata presso le genti d’Europa la fama di soldati mercenari abili e feroci. Indossavano l’usbergo, una maglia interamente fatta con anelli di ferro, che li proteggeva  dalla testa alle gambe. Erano armati di scudo a forma di mandorla, di spada e di lunga lancia. I cavalieri normanni sciamarono con alterne fortune dalla Spagna settentrionale all’Inghilterra, dall’Irlanda alla Tunisia, alla Siria e Impero Romano d’Oriente. “Emigravano” per motivi di successione (il patrimonio alla morte del capo famiglia andava al primogenito), ma anche per desiderio di conquista e, cosa non rara a quei tempi, per motivi di culto (visita a celebri santuari cristiani).

Intorno all’anno Mille si segnalavano i primi pellegrini normanni al santuario di San Michele sul promontorio del Gargano, uno dei più famosi e frequentati dell’Europa medievale. Con pellegrini normanni venuti sul Gargano entrò in contatto Melo di Bari, nobile di origine longobarda, il quale ad essi chiese aiuto, e l’ottenne, contro i Bizantini padroni della sua città e delle zone costiere del Mezzogiorno.

Un’altra tradizione storiografica riferisce invece che dei Normanni di ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa fornirono aiuto ai salernitani impegnati a rintuzzare un assalto dei Saraceni.

La presenza normanna nel territorio.

 

Come siano andate poi le cose, è risaputo. L’arrivo dei Normanni al Sud non fu un’invasione e neppure una conquista; la loro si potrebbe definire una usurpazione sulle rovine “politiche” dei potentati bizantini e longobardi. Mettere insieme questo mosaico di entità politiche e dare ad esse unità fu opera di Ruggero II, che si assicurò l’appoggio della Chiesa, garantendo un alleato fedele al papa e a se stesso la legittimazione della formazione di una monarchia.

Divenuti padroni del territorio i Normanni si inserirono nelle vicende feudali e tennero in feudo la terra conquistata. Essi si insediarono in una regione nella quale sin dal X secolo la popolazione in crescita si era andata raggruppando in nuclei abitati accentrati.

Le fortificazioni realizzate prima del Mille nei territori longobardi e bizantini avevano un preciso scopo di difesa e punteggiavano il territorio campano. I castelli edificati dai Normanni, ai motivi della difesa, aggiungevano quello del controllo economico e sociale del territorio.

Lo sviluppo agricolo, i dissodamenti, la messa a coltura di nuove terre, accrebbero la brama di questi nuovi proprietari. E il castello, chiamato in Campania spesso anche “rocca”, divenne la residenza del signore e lo strumento di controllo sulla terra, sui contadini e sui prodotti del loro lavoro. Per questo il castello veniva odiato dalla gente. Un cronista dell’epoca rimpiangeva il passato quando non si edificavano castelli, ma le campagne, tranquille e in pace,  erano cosparse di case e di chiese.

Nelle terre del Ducato beneventano vi erano centri abitati non molto grandi, sparsi un poco dovunque nelle campagne. Le colture erano differenziate: intorno alle case e agli abitati in genere si trovavano gli orti, poi venivano le vigne. I boschi di querce e di castagni erano sullo sfondo del paesaggio agrario di età normanna. Particolare attenzione era riservata ai terreni irrigui, alle selve, ai prati, ai pascoli sia di montagna che di pianura. I campi venivano lavorati con i buoi, ma anche manualmente con zappe e vanghe. Si aveva cura della concimazione dei terreni.

Ai primi decenni dell’anno Mille è già attestata nella provincia di Avellino la coltivazione del gelso per bachi da seta, come pure quella del lino. Si dissodano le zone incolte, aumentano le aree da mettere a coltura, si piantano e si innestano alberi da frutta.

Matrimoni a rischio.

Ruggero II, dieci anni dopo la sua fastosa incoronazione a Palermo, promulgò nelle assise di Ariano Irpino un corpus di leggi valido per l’intero Regno. Quelle norme sono oggi per noi un documento prezioso per  conoscere le condizioni della società dell’epoca.

La legislazione normanna (e sveva) fu molto attenta al rispetto della moralità pubblica e privata. Gli aspetti di una società caratterizzata da violenza e immoralità si ritrovano puntualmente segnati nei contratti di matrimonio, documentati in sufficiente numero per le zone interne della Campania. Accanto al sequestro di persona a scopo sessuale, dai documenti traspare l’abitudine di rapporti di coppia prematrimoniali ed extramatrimoniali. Non ci si scandalizzava più di tanto per adulteri e concubinati, per divorzi e nuove nozze.

Principi e cavalieri normanni diedero tristi esempi di comportamenti sessuali non consoni né al rango né alla legge morale. Seguendo il loro esempio, anche la gente comune si lasciava andare. I genitori delle ragazze da marito, preoccupati della castità delle figlie e della buona riuscita dei matrimoni, chiedevano ai futuri generi, e ai loro garanti, l’impegno a vivere in pace con la propria moglie e a non avere altre donne, ad assicurare alla sposa un tenore di vita conforme al rango e alle possibilità economiche, a rispettare l’unità e l’indissolubilità del matrimonio, a trascorrere con la sposa una vita serena e tranquilla.

Mecenatismo normanno.

I cavalieri normanni che  si impossessarono di città e di castelli, nella nostra regione come nel resto del Mezzogiorno, cercarono di far dimenticare l’origine del loro potere e di stabilire con gli assoggettati buoni rapporti di convivenza. Anche per raggiungere questo scopo essi  promossero la costruzione ex novo e il rifacimento di chiese e monasteri.

A Salerno Roberto il Guiscardo, dopo la conquista della città nel 1077, finanziò la ricostruzione della cattedrale di san Matteo. E la munificenza del principe viene ricordata in un’epigrafe sulla facciata del tempio.

L’architettura religiosa della Campania si ispira al modello benedettino-cassinese: cattedrale di Capua (1073-1081), di Caserta Vecchia (1153-1213).

Elemento unificatore nella produzione artistica dell’Italia meridionale in età normanno-sveva fu l’eredità culturale latina e paleocristiana, che condizionò anche l’accoglimento di innegabili influssi culturali bizantini, islamici e nord-europei.

L’eredità dei Normanni.

 

I re normanni e i loro successori svevi hanno rappresentato un ponte ideale attraverso il quale i vari elementi della cultura islamica, ma anche ebraica e orientale furono trasmessi non solo al nostro Mezzogiorno, ma all’Italia tutta e all’Europa.

La configurazione geografica e politica della nostra regione ha la sua origine in quest’epoca, quando per effetto dell’unificazione normanna la zona romano-bizantina e quella longobarda legarono le loro storie. La ricomposizione politica del territorio portò come conseguenza una impostazione diversa della rete stradale, dei rapporti commerciali e militari.

Il sistema monopolistico dell’economia sveva ed il crescente fiscalismo, che diventò più oppressivo con il bisogno di denaro da parte del sovrano, annullò i benefici dei provvedimenti  in favore della produzione. I re normanni e svevi diedero impulso alle attività economiche, utilizzando anche l’esperienza dei musulmani, che avevano dato prova del loro talento imprenditoriale. Federico II protesse la produzione del Regno

 

la Campania normannaultima modifica: 2008-04-09T20:58:55+02:00da manphry
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