Il Complesso di Fontamara

I nostri paesi (mi riferisco a quelli irpini, che conosco) muoiono. Basta guardare gli avvisi di vendita sempre più numerosi affissi alle porte e alle finestre delle case. Sembra quasi volersi disfare di qualcosa di ingombrante di fastidioso. Un paese, però, è morto anche quando chiudono i negozi, o quando chiude il bar , che in essi è spesso l’unico punto di ritrovo, di aggregazione.
E’ sotto gli occhi di tutti la chiusura al traffico per anni di strade importanti, ma ci rassicurano che questo è per la messa in sicurezza; lavori nei centri abitati che iniziano e non si sa quando avranno fine, ma ci si dice che si tratta di arredo urbano, una cosa buona e rassicurante perché la parola fa rima con corredo e siamo portati, col cuore, al momento felice delle nozze fatte o da farsi.
E i servizi? Funziona egregiamente l’autovelox che dà multe a destra e a manca. Io non saprei dire quanti incidenti siano stati evitati grazie a questo misuratore di velocità delle vetture, certamente ha portato qualche soldo nelle casse dei comuni.
Restano nei paesi quasi solo gli anziani con le loro importanti esigenze di cura e di affetto, alle quali è sempre più impegnativo rispondere.
Non può bastare la festa estiva a tenere in vita artificialmente una parvenza di vita di paese. Non soddisfa nessun bisogno il tentativo di abbellire i paesi che hanno smarrito il senso della vita associata. E’ un poco come il rossetto sgargiante sulle labbra di una signora novantenne.
E la gente che abita i paesi? Succede un poco come quando imperversa il temporale, tutti si corre a ripararsi in casa; nell’attesa che spiova e poter ritornare al lavoro o nella strada. Nel caso dei nostri paesi, sembra proprio che il temporale non abbia fine, quasi una condizione perenne della nostra esistenza. Ma che cosa sta accadendo? Possibile che questo ordine di cose, certamente fatto dagli uomini, venga percepito come naturale e legittimo?
Nel romanzo Fontamara di Ignazio Silone, i contadini di questo paese subiscono passivamente sia le catastrofi naturali che le ingiustizie quotidiane patite. E quando si cominciò “ a scavare il fosso che doveva portare una parte dell’acqua nelle terre acquistate dall’Impresario” ossia il podestà del capoluogo, Silone ci descrive la reazione della gente con le parole del protagonista:” “pensa ai fatti tuoi”, raccomandava ogni donna di Fontamara al suo uomo. “Non ti cimentare con le guardie. Non rovinare la tua famiglia. Lascia che si compromettano gli altri”. Ognuno aspettava che si compromettessero gli altri, e la mattina andando al lavoro e la sera tornando a casa, ognuno passava in silenzio al cospetto delle guardie armate e cercava anzi di guardare altrove. Così nessuno si compromise; ma la nostra anima era amareggiata e la sera, mentre si mangiava la minestra seduti sulla soglia di casa, con la scodella sulle ginocchia, non si parlava d’altro. Come si poteva pensare ad altro? “quando le disgrazie cominciano, chi le ferma più? “ tra noi dicevamo. “Forse il peggio deve ancora succedere”.
Il complesso di Fontamara sembra proprio che abbia preso i nostri paesi, e alligna in quelli in cui io lo riscontro. La crisi, che ha colpito da tempo i nostri come tutti i paesi occidentali, da economica sta divenendo sociale ed anche di mentalità, oserei dire antropologica . Perciò le tante proposte politiche predicate da varie parti non raccolgono consensi e adesioni.
La rassegnazione sembra l’unica via d’uscita.
Virgilio Iandiorio

Il Complesso di Fontamaraultima modifica: 2015-11-02T03:23:18+01:00da manphry
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