Non so chi sia stato il suo inventore, ma l’espressione “tolleranza zero”, almeno nel recente passato, veniva usata da alcuni amministratori per dichiarare ai quattro venti l’impegno a combattere il malaffare e la corruzione. Poiché le cose alla fine non è che cambiassero; ho cercato di capire perché parole così rassicuranti e determinate non producessero l’effetto desiderato. E la soluzione me l’ha data l’aritmetica, quella delle quattro operazioni. Se, infatti, si moltiplica un qualsiasi numero per lo zero, il prodotto è zero. Se la tolleranza si moltiplica per zero, il prodotto non può che essere nullo.
Provatevi a fare la stessa operazione con le norme che propongono gli attuali governanti. Non credo che avrete dei risultati diversi da quelli che indica il corretto calcolo di un’operazione aritmetica.
Le nuove leggi che dovrebbero risolvere una buona volta i guai dei cittadini, quelle che dovrebbero trasformare lo Stivale in un’Arcadia, non aspettano che il like di facebook o di qualche altro marchingegno mediatico.
Delle buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno, si dice. Perché bisogna mettere in conto che alla fine si faranno i conti con le cose realizzate. Come nel gioco del calcio, l’attaccante ha avuto una buona intuizione nel lanciare il pallone, ma se non lo mette in rete, si perde la partita.
Il 5 febbraio 1783, un terremoto sconvolse la Calabria. “Possiamo affermare che 200 paesi sparirono dal calabro suolo, che 48.341 furono le vittime dei tremuoti e dell’ epidemia, e che tutto il danno recato alla pubblica e privata proprietà raggiunse la probabile cifra di 30.000.000 di ducati, (lire 127,500,000)” (Achille Grimaldi, 1863).
Le scosse durarono ancora per molto tempo. E le morti per il sisma si accrebbero per l’insorgere di epidemie. I danni erano ingenti e un qualsiasi intervento di ricostruzione richiedeva somme da capogiro. Il governo borbonico e il suo re, Ferdinando IV, pensarono bene che l’unica fonte possibile di risorse economiche poteva venire dai beni della Chiesa. Con anticipo su quello che sarebbe accaduto di lì a pochi anni con la Rivoluzione Francese, il governo borbonico con legge del 1784 incamerò i beni di conventi, parrocchie, confraternite, cioè degli enti religiosi. “Creata per regolare un’ amministrazione all’atto economica e fiscale, fu poscia la Cassa Sacra onorata della importante missione di svolgere ed attuare in Calabria tutte le riforme che al suo prosperamento il governo stimò opportuna emanare. Gl’ interessi municipali‘, le imposte, l‘ annona, la pubblica istruzione, la beneficenza, l’ agricoltura, l’ industria, il commercio, le Opere pubbliche formarono il vasto campo ov’essa poté meglio mostrarci l’ efficacia della sua instituzione”.
“Fu adunque la Cassa Sacra un vero tribunale di eccezione, fra i tanti del secolo decimottavo, ma questa benefica dittatura potea solamente e presto fare obliare l’enorme disastro, e progredire le Calabria nella via dei miglioramenti e della civiltà”.
Dodici anni dopo, 1796, la Cassa Sacra venne abolita :“Mosso il Re dai numerosi e ripetuti ricorsi dei poveri della Calabria Ultra” (Napoli 30 gennaio 1796). Augusto Placaniga, che ha studiato a fondo l’argomento, ritiene che l’esperienza della Cassa Sacra fu un vero e proprio fallimento, perché il patrimonio confiscato non fu distribuito ai contadini senza terra, ma finì nelle mani dei pochi che disponevano di soldi. I contadini si trovarono di fronte proprietari non migliori degli ecclesiastici; costoro ostacolavano anche l’esercizio degli usi civici.
Virgilio Iandiorio