Elogio del cursus honorum

Nella mattinata del giorno della festa patronale, il 25 di aprile, di una settantina di anni fa, la banda musicale scritturata non arrivava a Manocalzati, comune della provincia di Avellino. E la festa senza la banda musicale rischiava di essere compromessa. Un compaesano ebbe una brillante idea: munì frotte di ragazzini di zufoli e fischietti, fatti con la corteccia dei rami di castagno, che in primavera è facile ricavare. La banda improvvisata si collocò sulla cassa armonica, allestita per il concerto, e cominciò l’esibizione a suoni di zufoli di tutti i tipi e dimensioni. Un divertimento per i suonatori, che non conoscevano nemmeno le note, e per gli spettatori. Ed è quello che accade quando l’incompetenza sale sul palco, e quando i suonatori esperti se ne allontanano.

Non si possono inventare in un momento, competenze che si ottengono con lavoro, impegno e, perché no!, sacrificio. Ricorderete quel fortunato programma radiofonico, e poi anche televisivo, chiamato “La Corrida”. Era sufficiente presumere di saper fare qualcosa per presentarsi alla trasmissione. Come se l’intenzione, di per sé, sia elemento sufficiente per realizzare un progetto, soprattutto in politica.

Un riferimento al passato può diventare quanto mai opportuno. Nell’ordinamento di Roma in età repubblicana, un cittadino che aspirava a cariche pubbliche doveva rispettare l’ordine nella successione di queste; si arrivava a conseguire il consolato, la più alta magistratura, dopo aver ricoperto le cariche inferiori dell’ordinamento. Il cursus honorum.

Con il principio della temporaneità di una carica pubblica si voleva impedire che si acquisisse una posizione dominante con l’esercizio prolungato del potere. Inoltre il passaggio graduale da una carica politica inferiore ad una superiore, avrebbe portato all’assunzione di responsabilità più grandi, persone più adulte e con esperienza maturata in anni di attività. Cicerone, da grande avvocato qual era, non era d’accordo su questo, quando si trattò di chiedere il consolato per chi era molto giovane, ma amico suo:” “Quando stabilivano un’età più matura per il consolato mediante leggi che prescrivevano un intervallo di anni, temevano l’imprudenza della gioventù … (Cicerone, Filippica, V, 47).

Il cursus honorum non era e non è il rimedio a tutti i malanni in politica; certamente è una risposta a molti problemi. Anche nel nostro sistema elettorale, non tutti gli elettori della camera dei deputati lo sono anche per quella del senato; per quest’ultima, infatti, l’elettore deve aver compiuto venticinque anni. Come si può vedere, rimane ancora qualcosa dell’antico criterio dell’età, nella scelta delle cariche pubbliche.

“Immaginisi di grazia questi che l’onorevolezza, e per dir così maestà loro non consiste nell’aver del tempo assai, e insomma nell’esser vecchio. Anzi s’avesse un uomo cento e mille anni, e che non avesse da dire, o mostrare altro di buono del suo fatto in sì lungo corso, non potrebbe secondo Seneca affermarsi che in tutti quegli anni fosse vissuto, e fosse veramente vecchio” (Lancellotti, 1637).

Un aspetto rilevante delle magistrature romane era la responsabilità dopo la scadenza del mandato. L’uomo politico romano aveva non solo la responsabilità politica dei suoi atti, ma anche quella amministrativa (se gestiva denaro pubblico) e quella penale (se commetteva reati nell’esercizio del suo mandato). Poteva venire giudicato o processato soltanto allo scadere della sua carica.

A chi , oggi, si candida ad una carica pubblica l’elettore dovrebbe chiedere: che cosa hai fatto (se ha già assunto in precedenza una carica) e che cosa sai fare (se è la prima volta).

Virgilio Iandiorio

Elogio del cursus honorumultima modifica: 2018-03-07T18:44:57+01:00da manphry
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