Sappiamo bene che è un’illusione presuntuosa ed esiziale escludere dagli studi chiamati classici la nostra sensibilità quotidiana e le passioni etiche e politiche del presente, ma sappiamo anche che non meno esiziale è credere di comprendere il nostro tempo solamente con le categorie sociali del momento. Quando la soddisfazione del presente e l’arbitrio soggettivo hanno la loro consacrazione, la lingua e la cultura della classicità, quale che ne sia il metodo, filologico, letterario, storico, antropologico, rischiano l’annientamento. E con essi scomparirebbero naturalmente l’idea della continuità culturale e qualsiasi coscienza d’esperienze un tempo condivise, spirituali e civili.
Appena un secolo fa, l’uso della lingua latina era largamente diffuso tra gli intellettuali di mezzo mondo. Jean Jaurès ( 1859 – 1914) politico francese, socialista e pacifista impegnato, pubblicò a Tolosa nel 1891 il De primis socialismi germanici lineamentis apud Lutherum, Kant , Fichte , Hegel, interamente scritto in latino, motivando così la sua scelta:
“Se vuoi comprendere l’odierno socialismo tedesco, non è sufficiente scoprirlo nella sua elaborazione o nella traduzione che ne danno Bebel [ 1840-1913] ed altri, ma bisogna ricercare quasi tutte le fonti del pensiero e della conoscenza: perciò ho trattato del socialismo cristiano con Lutero, del socialismo morale con Fichte e del socialismo dialettico con Hegel e Marx. Ne mi dispiace usare la lingua latina per argomenti attuali, dal momento che in questa lingua è stato espresso il diritto umano dell’antica filosofia morale, e la cristiana fratellanza l’ ha respirata profondamente e l’ ha cantata; e quel latino ancora oggi è la lingua universale e comune di tutti i popoli e perciò si adatta al socialismo universale”.
Il dibattito in Francia sull’importanza del latino nel mondo è quanto mai attuale. Lo scorso anno nei licei più prestigiosi della capitale francese si sono svolti incontri e dibattiti interessantissimi. Ma è la voce del ministero dell’ istruzione a sottolineare che:” Cina, India, Africa o l’insieme dei paesi di tradizione musulmana, si definiscono con un rapporto attivo, nuovo al proprio passato come a quello delle altre civiltà… Queste culture, anche nei loro movimenti di modernizzazione radicale, sono per definizione tradizionali… Non sarà il minor paradosso che i paesi europei siano i soli a privarsi di questa potente risorsa, cioè la riconsiderazione del passato, la sua riappropriazione dinamica per definire gli avvenire possibili”.
Virgilio Iandiorio