LA POLITICA DELL’OSSIMORO

Se dovessimo indicare la politica dei tempi nostri con una figura retorica, potremmo indicarla come la politica dell’ossimoro ( si può leggere sia sdrucciolo che piano). In letteratura, l’ossimoro è una figura stilistica che mette vicino due termini (in genere un nome ed un aggettivo) di senso completamente opposto, ma sintatticamente uniti. E non è detto che questa forma retorica sia solamente usata in poesia e in letteratura. Silenzio eloquente, morto vivente, dolce violenza, sono espressioni comunemente usate.
La politica dell’ossimoro, è una espressione che piace ai filosofi, sociologi e politologi francesi ( Bertrand Méheust, 2009). Perché nel parlare dei nostri politici, vengono utilizzati gli ossimori per tentare di conciliare quello che non può esserlo. Si pensi alla “guerra pulita”. E in Italia, chi non ricorda “le convergenze parallele”, espressione che sfidava la geometria di Euclide, ma che dava l’impressione che si potessero mettere insieme gli opposti politici? In buona sostanza, chi ascolta prova a mettere insieme la dissonanza dei termini, e ottiene un effetto di tranquillizzare l’animo. Quando si mettono insieme i due termini antinomici, l’uno recupera l’altro. Così la guerra, che è cosa terribile, se è pulita, assume un aspetto decoroso. In campo economico poi, viene ripetuto con insistenza l’ossimoro “commercio equo, imparziale”
E aveva buone ragioni anche quel mio compaesano, che senza conoscere figure stilistiche né tanto meno l’ossimoro, diceva di vivere di “imbrogli onesti”.
Nel settembre scorso, Myriam Revault D’Allones, una delle voci più autorevoli della filosofia francese contemporanea, in un’intervista ha detto che “la democrazia rappresentativa è un ossimoro”. E questo ci porta dritto al nocciolo della questione. “ Parlare di crisi presuppone che noi stiamo vivendo un momento patologico, l’alterazione di una situazione normale e sana, di una rappresentazione originale. Ma una buona rappresentanza politica, che assicurerebbe la “coincidenza” del rappresentante e del rappresentato, è mai esistita? Quando si evoca questa crisi, non ci si interroga sulla nozione stessa di rappresentanza, che si tende a ridurre all’elezione. La rappresentanza politica non si limita a un processo di delega del potere. Voi spostate la questione della rappresentanza dalla parte dei rappresentati. Il problema sarebbe l’impossibilità dei cittadini di decidere come capaci di agire?
La rappresentanza non è sempre la figurazione del potere stesso se, classicamente, si è privilegiata l’idea che il potere era “in rappresentanza”: la messa in scena dei segni come il ritratto del re, gli ori della Repubblica… Nella rappresentanza, c’è anche l’idea che uno rappresenta se stesso come cittadino. Dire “noi siamo male rappresentati”, che cosa vuol significare? E’ una posizione passiva. Si deplora che quelli che ci rappresentano non ci rassomigliano. Occorrerebbero più donne, Neri, minoranze visibili… Come se bastasse che i rappresentanti ci riflettano come in uno specchio perché la rappresentanza politica sia soddisfacente. Avere un “ presidente normale” permette di assicurare una “buona” rappresentanza? Non è qui il problema. Occorrerebbe pensare la rappresentanza delle capacità piuttosto che quella delle identità.”
La crisi della rappresentanza politica è un falso problema, secondo Myriam Revault D’Allones. Piuttosto che ostinarsi a volere dei politici che rassomiglino agli elettori, i cittadini devono esercitare il potere e non contentarsi di legittimarlo.
Virgilio Iandiorio

LA POLITICA DELL’OSSIMOROultima modifica: 2016-12-15T00:07:30+01:00da manphry
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