CENTO ANNI FA LA NASCITA DI JOHN CIARDI

Sono trascorsi cent’anni dalla nascita negli Stati Uniti di John Ciardi e l’interesse per il poeta di origini irpine rimane vivo. John Ciardi, personaggio di rilievo nella letteratura americana del 900, nacque il 24 giugno del 1916 (festa di S. Giovanni) a Boston, Massachusetts. Il padre Carminantonio originario di S. Potito Ultra e la madre Concetta De Benedictis, originaria di Manocalzati, si erano trasferiti negli Stati Uniti negli anni precedenti lo scoppio della Grande Guerra. Morì trent’anni fa a Edison nel New Jersey, all’età di settant’anni.
“Il lavoro di John Ciardi primeggia tra i contributi degli scrittori americani di origini italiane. John Ciardi, in qualità di poeta e critico, ha aggiunto una nuova dimensione all’italianità in America nel 1965 dando al mondo una nuova traduzione di Dante, che ha superato il milione di copie in edizione economica. Autore di più di quaranta libri di poesia e di critica, l’attività lavorativa di Ciardi ha contribuito forse, più di quella di qualsiasi altro americano, a rendere popolare la poesia. Il lavoro di Ciardi piuttosto che focalizzarsi sul proprio retroterra italiano, raggiunge e porta la coscienza americana verso l’Italia”. (F. Gardaphé,1996)
Vorremmo ricordarlo riportando delle sue riflessioni sulla poesia tratte dai discorsi tenuti come docente ospite presso la Brigham Young University il 24 ottobre 1963 e 15 Aprile 1965.
“Quando ho iniziato ad insegnare presso l’Università di Kansas City nel 1940, ho passato un sacco di tempo sui treni, andando avanti e indietro tra Kansas City e Chicago. Con il mio stipendio ho quasi mantenuto le compagnie ferroviarie Atchison, Topeka e Santa Fe. Mi trovavo spesso in treno con commessi viaggiatori giramondo. Si incontrano lì. Immancabilmente si sarebbe iniziato quasi un rito, un rito molto stretto. E sempre ricorreva la stessa frase di apertura. Essi chiedono: “Che lavoro fai?”
Un uomo avrebbe potuto rispondere che si occupava di collanti, e si sarebbe messo per un poco a parlare di questo . Un altro avrebbe detto che si occupava di maniglie in ottone delle porte, e si sarebbe messo a parlare per un po’ di maniglie delle porte in ottone.
Poi si rivolgono a me e chiedono: “Che lavoro fai?”. In un primo momento rispondevo inventando delle cose. Ho avuto la sensazione che ci sarebbero volute troppe spiegazioni per dire su di un treno pieno di venditori che ero un poeta. Ma un giorno, per il gusto di farlo, quando mi venne rivolta la domanda, ” Che lavoro fai?” Ho detto: “Sono un poeta.”
Ho scoperto che ci sono volute molte piccole spiegazioni. È un dato di fatto, ci fu un lungo silenzio. Dopo un intervallo di tempo adeguato, sono andato nella carrozza principale della vettura e mi sono seduto. Presto un venditore scivolò sul sedile accanto al mio e cominciò a parlare a bassa voce. Aveva qualcosa che voleva dire a me, ma che non poteva dire davanti ad altri venditori. Questa esperienza si è ripetuta molte volte. Spesso il venditore aveva una poesia nel suo portafogli. Credo di aver visto alcune delle poesie più miserabili e più ispirate al mondo tirate fuori dai portafogli dei venditori.
Immancabilmente avrebbero fatto l’errore terrificante che tutti i cattivi poeti, troppo entusiasti, fanno: presupporre che se il oggetto della poesia è abbastanza grande, non importa se la poesia sia buona. Se si può semplicemente prendere l’argomento il più grande possibile e iniziare la poesia “La verità è …,” La bellezza è … “,” La vita è … “, siamo belli e finiti. Temo che una tale poesia è molto probabile che sia un disastro. La grandezza della poesia non è determinata dalla dimensione del suo soggetto. E’ determinata dalla dimensione della mente che sta cercando di racchiuderlo. Il valore di una scienza non è deciso dalla dimensione dell’ oggetto che studia. In caso contrario, i microbiologi sarebbero persone insignificanti e solo i geologi dovrebbero davvero contare. Hanno a che fare con le montagne e interi continenti.
Alla Saturday Review ho avuto uno scambio di idee con, credo, una dolce signora. Avevo rifiutato alcune delle sue poesie. Devo respingere un sacco di esse. Me ne arrivano circa 500 a settimana, e posso accettarne solo due nella mia rubrica. Ma lei ha preso il mio rifiuto come un affronto personale, come molti fanno, e mi ha scritto una lettera a caldo. Non avevo citato la sua poesia, perché lei ha detto, «Suppongo che tu abbia respinto la mia poesia, perché si trattava di Dio”.
Ho dovuto risponderle. “Gentile Signora: No, non ho rifiutare la poesia, perché trattava di Dio. L’ho rifiutata perché non riuscivo a vincere la sensazione che non era rispondente al soggetto. ”
Naturalmente, questa conferenza di Ciardi è molto più lunga, e complessa. Ci sarà modo, io credo, di approfondire, in questa ricorrenza del centenario della nascita, il tema della poesia, che era molto a cuore al poeta. “Mi sembra – diceva agli studenti- che uno dei motivi per cui tanti di voi non amino la poesia, è che il sistema scolastico ha ficcato una grande quantità di poesia in voi, non per come sono state scritte, ma per il loro oggetto.
Siamo tutti d’accordo, io credo, che alcune delle considerazioni più durature sulla condizione umana su questo pianeta sono state fatte da poeti. Ma esse sono state fatte solo e sempre da quei poeti che hanno mantenuto tutta la loro gioia nello scegliere le parole perché corrispondono l’un l’altro, nel trovare i ritmi che scorrono, nella gioia nella metafora, e la gioia nella forma.”
Virgilio Iandiorio

CENTO ANNI FA LA NASCITA DI JOHN CIARDIultima modifica: 2016-06-28T16:13:44+02:00da manphry
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