Se la storia locale diventa mania.

E’ una “mania” tutta nostra provinciale di esaltare personaggi irpini, solo perché irpini. Oppure trasferire nel passato il senso dell’appartenenza dei giorni nostri. O, peggio ancora, dedurre l’importanza del luogo dalla fugace presenza di un grande personaggio, ma con tanto di foto ricordo. Una sorta di reliquia di contatto, come accade per esempio quando si sfrega un fazzoletto sul sarcofago di un santo: reliquie minori, ma sufficienti a placare la sete di reliquie da parte di un fedele.
Si prendano gli antichi “rapporti” dei popoli del Sannio con Roma. Le guerre sannitiche che diventano quasi come quelle per l’indipendenza, venute millenni dopo. Per non parlare della storia in tempi a noi molto più vicini. Solo che quando più ci avviciniamo ai giorni nostri la linea di demarcazione, tra localisti e non, passa attraverso il credo politico. Progressisti e reazionari: i primi gli eroi, gli altri gli aguzzini. Atteggiamento tipicamente italiano derivante dagli sviluppi storici e politici degli ultimi anni.
Il declino delle ideologie e l’emergere di una sorta di ideologia territoriale appare il dato più significativo in ordine alla formazione di identità politiche locali, con tutte le distorsioni tipiche di chi tenta di creare un mito fondatore partendo da fondamenta culturalmente discutibili. La tradizione locale viene così accolta come virtù pregiudiziale, in grado di sostituire ideologie cadute, di sostituire un senso di appartenenza di “parte”. ( Marco De Nicolò in Glocale Rivista molisana di storia e scienze sociali 1/2010).
Francesco De Sanctis nel “Un viaggio elettorale” a proposito della storia del suo paese scrive: “Cosa era Morra in antico, nessuno sa. E mi pare che quando si pretende a gloriose origini, la vanità avrebbe dovuto avere un po’di cura a conservare quelle memorie. Una vaga tradizione accenna alla presenza di Annibale in quella parte, che vi avrebbe edificato un campo militare, occupato poi da’ Romani, e divenuto Morra. Il fatto è che Morra non ha storia. E ciò che ha potuto essere, non si può congetturare che dalla sua topografia.” E più avanti nel racconto, il De Sanctis sottolinea a proposito del nuovo cimitero:” E pensavo: se ci ha da essere un cimitero distinto, non sia distinzione di classe, ma di merito. O che? dee andar perduta memoria di quelli che fanno il bene? Lì è la storia vera di un paese. E non ci ha da essere una lapide che la ricordi? Della vecchia generazione sono ancor vivi nelle nostre conversazioni Paolo Manzi e Domenico Cicirelli e due vescovi, un Cicirelli e un Lombardi, e due letterati, un Carlo De Sanctis e un Niccolò Del Buono, e per tacer di altri, tocco del tutto più recente, un Carlo Donatelli… Queste sono le nostre glorie, ed il nostro dovere è di conservare ai nipoti piamente queste memorie.” “La misura del locale –scrive M. De Nicolò – “dalla preistoria ai giorni nostri”, accompagnata spesso dal disinteresse per i fenomeni generali, ha trasformato la sua apparente concretezza (in quanto riferibile a uno spazio preciso), in astrazione, poiché slegata da altri territori e da altri processi. Tale impostazione neoerudita, spinta al localismo, all’esaltazione a priori della propria storia locale, si è autoalimentata.
Un’ulteriore tendenza è stata quella di riscoprire i “parenti nobili” delle identità di parte, del socialismo, del cattolicesimo, del liberalismo locale, e inserirli in modo “ortodosso” nelle più grandi storie dei rispettivi partiti, fino a scorgere tratti di originalità e di grandezza in personaggi di modesta caratura solo perché locali.
Virgilio Iandiorio

Se la storia locale diventa mania.ultima modifica: 2016-05-20T00:05:52+02:00da manphry
Reposta per primo quest’articolo