IL LATINO NELLA THULE

Una questione sempre aperta, nel passato e nel presente: come bisogna insegnare la lingua latina? A meno che non la si voglia considerare morta e sepolta. Eppure ogni qualvolta che si recita il de profundis sulla bara del latino, succede invece che se ne celebri la resurrezione. Il latino sempre vivo? Sembrerebbe proprio di sì. Il problema allora è come insegnare questa lingua antica nel nostro frenetico mondo di repentini cambiamenti. Alcuni sostengono fermamente che il latino, una lingua morta, non deve essere insegnata con metodi che sono propri delle lingue moderne. A costoro ribattono altri: è proprio attraverso il linguaggio contemporaneo che il latino sarà più significativo per gli studenti e quindi meglio e più ampiamente appreso. Se non si fanno i necessari adeguamenti alle norme attuali per l’insegnamento del latino si scivola di più verso la sua estinzione nel curriculum.
E i metodi di apprendimento del latino medievali e rinascimentali? Tenuto conto delle epoche, a conti fatti, essi risultano superiori ai nostri. I giovani studenti di allora non hanno avuto tra le mani le opere classiche di Cicerone o di Livio solo dopo aver accuratamente mandato a memoria paradigmi e declinazioni, né hanno beneficiato da quattro a sei anni di insegnamento costante della grammatica latina. I classici per loro sono stati di gran lunga più accessibili, e potevano essere apprezzati come opere significative in sé, piuttosto che usati semplicemente come strumento di sfida per la traduzione.
Il latino ha trovato e trova cultori, ma anche detrattori, in tutto il mondo. Segno della sua vitalità! Oltre un secolo fa il prof. Johan Bergman ( Stoccolma 1864-1951), si laureò presso l’Università di Uppsala nel 1889 con una tesi in latino. Dal 1908 al 1929 insegnò latino nei licei di Stoccolma, e presso l’Università di Tartu (Estonia). Nel 1898 Bergman pubblicò Carmina latina.
Di questo libro di versi latini diede notizia ( Atene e Roma a. XXII 1919) un altro svedese, il barone Bildt Carl Nils Daniel (Stoccolma 1850 – Roma 1931), ambasciatore a Roma nei primi decenni del XX secolo, “Ai lettori dell’ Atene e Roma, e, per mezzo loro, all’ Italia colta e studiosa, che, nel campo della poesia latina, ha la fortuna di poter vantare il nome glorioso di Giovanni Pascoli, vincitore pressoché di tutte le gare di Amsterdam alle quali concorse, non riuscirà sgradito, penso, che io parli un poco, su queste colonne, di un mio valente compatriota e caro amico, instancabile quanto amoroso cultore della poesia latina e, in genere, della classicità; cioè a dire, di uno fra i più sicuri baluardi, opposti dalla civiltà alla furia irrompente della barbarie. Leggevo giorni or sono, nel Marzocco del 6 aprile 1919 un dotto articolo del prof. Giovanni Nascimbeni in difesa del latino e seguivo, lo confesso, con una specie di palpitante attenzione, tutte le sue eloquenti argomentazioni in pro di questa lingua, anzi, dirò meglio, di questa civiltà, che è stata l’amore vivo e costante di tutta la mia vita, e alla quale io, straniero dell’ultima Thule, non posso fare a meno di rendere quotidianamente un omaggio di riverenza e di gratitudine. Che questo sia non solo il sentimento mio, ma di molti miei compatrioti, si avverte subito aprendo il libretto di Carmina Latina del mio amico lohan Bergman “. E aggiunge:” Il candido e ardente entusiasmo, che, fin dalle prime parole della prefazione, traspira per tutto ciò ch’ è latinità, arriva veramente al cuore di chi legge”. E c’è motivo valido di credergli: il latino, amato anche nell’ Europa del Nord, la Thule inesplorata.
Virgilio Iandiorio

IL LATINO NELLA THULEultima modifica: 2015-12-18T23:39:30+01:00da manphry
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