1799 a Greci (Avellino)

Furono sei mesi intensi e sconvolgenti quelli della Repubblica Napoletana del 1799. Un poco tutti i paesi delle  province meridionali ne furono interessati; anche nel Principato Ultra, infatti, si formò un partito filo-repubblicano che contrastò aspramente con quello dei realisti filo-borbonici.  I protocolli notarili di quegli anni contengono interessanti notizie in merito alla rivoluzione napoletana. Siamo andati a leggere quello che il notaio Francesco Candela di Savignano (Avellino) riporta nel suo protocollo dell’anno 1799 in riferimento a fatti e persone della vicina comunità di Greci.

Quello che accadde nel 1799 a Greci, comune del Principato Ultra, non fu diverso da quanto registrato per gli altri paesi della provincia. Emblema di quella particolare stagione della storia del Mezzogiorno fu l’albero della libertà, che, a quanto risulta, non fu un’innovazione della Francia rivoluzionaria e giacobina, ma una “moda americana”.

L’albero della libertà.

 

Nell’America del nord l’abete rosso, simbolo della Nuova Inghilterra già nel secolo XVII, divenne il simbolo della pace e della libertà nelle guerre di indipendenza contro gli inglesi. In seguito anche gli olmi, le querce e i pioppi furono utilizzati per simboleggiare la libertà conquistata. Questo Liberty Tree Flag si ispirava al modello di un albero realmente esistente sul Hanover Square a Boston, sotto il quale i figli della libertà avevano tenuto le loro riunioni prima del famoso Tea Party di Boston del dicembre 1773.

Per iniziativa di sanculotti e giacobini si cominciò a piantare alberi della libertà nelle piazze delle città e dei paesi della Francia subito dopo la rivoluzione del 1789. Questa usanza attecchì, si può dire trattandosi di piante, così rapidamente che si contavano, secondo la voce popolare, ben 60.000 alberi della libertà appena tre anni dopo la Rivoluzione.

In Italia con i francesi arrivò anche l’uso dell’albero della libertà, piantato in analoghe circostanze rivoluzionarie, come quella del 1799. L’albero della libertà non era sempre costituito da una vera pianta vegetale, nel caso italiano una quercia o un pioppo in genere, ma consisteva in un semplice tronco o palo di legno addobbato con nastri tricolori e sormontato da un berretto frigio.

A Greci il nuovo e breve assetto istituzionale trovò un terreno quanto mai fertile. Stando alle deposizioni, che di seguito si riportano integralmente, al nuovo governo aderirono diversi esponenti del clero locale, che con la fine dell’esperimento repubblicano furono direttamente chiamati in causa perché rei di aver sostenuto la Repubblica e di aver oltraggiato il Re e la Monarchia.

Il paese chiamato a testimone.

 

Il notaio Francesco Candela di Savignano, che inizia il suo protocollo degli atti rogati nell’anno 1799 dal mese di maggio (e questo lascia chiaramente trasparire il clima di incertezza politica e amministrativa che regnò nel primo semestre), la sera del 16 ottobre di quell’anno raccoglie in “tenimento” di Greci, il luogo non è meglio precisato, le deposizioni di un ragguardevole numero di cittadini di questo comune:

”Personalmente si sono costituiti nella nostra presenza Luigi Sasso, Pasquale Panella, Salvatore Strada, Vincenzo Tirello, Vincenzo di Simone, Nicola Palombo, Giovanni di Filippo Sasso, Nicola Quadrella, Tommaso di Carlo, Domenico Castano, Giacomo di Chiara, Giovanni di Saverio Pinto, Domenico Filaseta, Francesco Pucci, Ciriaco Capobianco, Vincenzo Castello, Vincenzo Vara (o Vasa), Crescenzo Candela, Francesco Marino, Francesco Panella, Mattia Biva, Michele Filaseta, Saverio Quadrella, Vincenzo Manes, Crescenzo Scrima, Vincenzo Cossa (o Cozza), Giuseppe di Carmine Rex, Francesco Padalino, Michele Strada, Antonio Palombo, Michele Palombo, Michele Tursi, Pasquale Gliatta, Michele Gliatta, Vincenzo Morsa, Nicola Saverio Quadrella, Giovanni di Francesco Valente, Vincenzo di Martino Lauda, Vincenzo di Giuseppe Roccia, Luigi Izzo, Mercurio Boscia, Bartolomeo Vara (o Vasa), Michele Vara (o Vasa), Nicola di Michele Scrima, Vincenzo di Carlo Boscia, Pietro Clemente, Marco Giordano, Francesco di Martino Lauda, Francesco di Nicola Sasso, Filippo di Martino, Francesco del Ré, Francesco Vara (o Vasa), Gregorio di Domenico Boscia, Filippo Norcia, Lorenzo Clemente, Gaetano Orlanno, Giuseppe di Chiara, Francesco di Simone, Francesco di Donato Panella, Oto di Minno, Luigi di Vincenzo Rex, Giovanni di Giorgio Lauda, Filippo di Martino Pucci, Michele di Giuseppe Lauda, Giacomo Locchese (o Lucchese), Bartolomeo di Antonio Boscia, Giuseppe Candela, Giovanni de Carlo, Filippo Cera, Francesco di Crescenzo Costanzo, Gregorio Sollazzo, Vincenzo Gliatta, Michele di Carlo Boscia, Francesco Costanzo, Luigi de Minno, Michele Toccano, Michele Meola, Giovanni Scrima, Francesco di Mercurio Lauda, Domenico de Carlo e Filippo Pinto, tutti di questa Terra di Greci”.

Una coccarda tricolore.

 

Una ottantina di uomini adulti, e vorrei aver trascritto correttamente tutti i loto nomi, si sono presentati davanti al notaio Francesco Candela per deporre in favore di un sacerdote di Greci. Se si considera che la popolazione di tutto il paese in quel periodo assommava a un mezzo migliaio di persone (si veda la monografia di G. Conforti su Greci edita nel 1922) il numero di testimoni che vanno a deporre davanti al notaio è indicativo di una situazione estremamente delicata in cui si vennero a trovare gli indiziati di reati politici nel paese. La rivoluzione partenopea, come si sa, ebbe fine tragicamente nel mese di giugno del 1799; ma per i suoi fautori le cose non andarono meglio dopo la conclusione dell’impresa.

I grecesi  costituitisi spontaneamente davanti al notaio “col presente pubblico atto –scrive Francesco Candela- e con giuramento asseriscono costarli benissimo, come il Reverendo Sacerdote Seculario D. Paolo di Martino di questa istessa Terra primacché si fosse democratizzato questa loro Padria mai l’hanno veduto colla noccarda ricolorata, ma bensì l’hanno veduto a Domenico Antonio Lusi altro loro compaesano colla noccarda tricolorata; anzi il sopra detto D. Paolo in occasione che era ritornato D. Giovanni Bellusci altro loro concittadino dal  Seminario di Benivento, come in quella città vi era entrata la Truppa Francesi così venne colla noccarda tricolorata finché arrivò in quel Tenimento, e poi se la tolse dal suo cappello; ed avanti la Chiesa Madre avendola fatta vedere, il D. Paolo se la prese, la lacerò, ne fece un atto disprezzabile, e poi se la pose sotto li suoi piedi. Asseriscono ancora come detto D. Paolo de Martino non fu suo il piacere di essere Presedente, ma in publico Parlamento fu eletto unica voce (all’unanimità) dal Popolo, per averlo conosciuto di essere vero Regalista. Asseriscono di più, come non fu ordine suo espresso, che si fussero demolite l’insegne, ma di tutta la Municipalità, per aver avuto ordine dalla Municipalità della città di Troja come Cantone della Sedicente Republica. Finalmente asseriscono come il loro Reverendo Arciprete D. Giacomo Lusi, quantunque avesse avuto l’ordine di predicare al popolo l’ubidienza alle nuove dignità costituite; coll’isfuggire de grossi mali non mai ha ardito di predicare, se non se nel dì diecinnave di maggio, coll’ordine di D. Francesco Saverio Rex allora vice Presidente, e coll’ordine del Notar Boscia anche allora Segretario; e questi diedero l’ordine al reverendo Arciprete, che avesse letto nella Chiesa un Editto della ridetta Sedicente Republica e detto Arciprete in fin della lettura pregò il Popolo a raccomandarsi a Dio, acciocché gli liberasse da ogni male e pensasse alla comune quiete e tranquillità in tempo che il citato D. Paolo di Martino era assente da questa Padria per essere andato nella sua Massaria delle pecore nella Puglia”.

Gli stemmi demoliti.

 

Le accuse che venivano mosse al sacerdote Paolo di Martino erano molto gravi: aver presieduto il pubblico Parlamento cittadino, aver esibito in pubblico simboli rivoluzionari quali la coccarda tricolore, aver predicato in chiesa a favore del nuovo governo. Questo spiega il numero consistente di testimoni chiamati a sostegno di una difesa, che finisce con il coinvolgere altre persone.

Nella stessa sera del 16 ottobre un’ora dopo le deposizioni dei testi, alla presenza dello stesso notaio “si è costituito Giuseppe Villano maestro scalpellino della Terra di Frigneto l’Abbato (oggi Fragneto l’Abate in provincia di Benevento), casato e commorante in questa Terra di Greci, il quale spontaneamente con giuramento e col presente publico atto asserisce come essendo stati eletti Saverio Lusi, Michele Manes e Donato di Chiara dell’abbolita Municipalità di Greci col demolire li stemmi della Monarchia e della Aristograzia in seguito di ordine venuto a detta Municipalità dal Cantone di Troja ed a quello della Sedicente Repubblica, i sudetti Saverio Lusi, Michele Manes e Renato de Chiara chiamarono esso costituito, acciocché insieme con essi avesse tolti e demoliti tutti li stemmi, come infatti tra gl’altri stemmi, o siano imprese, esso unitamente colli ridetti Saverio Luso e Michele Manes toglierono la Reale Iscrizione, che stava sopra la Fontana detta la Ripitella, la quale perché pesante, non si poté sostenere a polso e cadde dentro la sudetta Fontana, e si ruppe cascanno, senza che nessuno de detti deputati avesse fatto qualche freggio col martello o dette parole improprie e ciò si fece col timore perché in quell’istante si trovò passando la truppa de’ Sedicenti Francesi”.

Persone dabbene.

 

Anche in questo caso la testimonianza serve a discolpare dall’accusa di oltraggio alla corona e alla monarchia i grecesi che avevano in definitiva distrutto un’iscrizione e uno stemma reale.

Le deposizioni davanti al notaio Francesco Candela si conclusero nella stessa serata con una terza costituzione di testimoni quella dei “Reverendi Sacerdoti Secolari Don Francesco Bellusci, Don Filippo Bellusci, Don Luigi de Majo, Don Giovanni Bellusci, magnifico Nicola Bellusci, Oto de Minno, Michele Palombo, Francesco Padalino, Michelantonio Manes e Giovanni Sasso tutti di questa Terra di Greci, li quali spontaneamente col presente publico atto e con giuramento dichiarano e confessano qualmente il magnifico Saverio Lusi, Reverendo Arciprete Don Giacomo Lusi, Sacerdote Don Michele Lusi, Don Nicola Juorio Lusi e il Don Ludovico Lusi figli del detto Saverio sono persone dabbene e pacifiche e timorosi di Dio e nell’innalzamento dell’infame Albore della sedicente Repubblica, non hanno fatto veruna parte premurosa, non hanno cercato né avuto uffici nell’abolito Governo Provvisorio, né mai hanno fatto veruna azione o insinuazione contro il nostro Monarca e della Monarchia, ma si sono sempre mantenuti nella loro pace e quiete che per essere la verità essi sudetti costituiti hanno chiesto noi publico e Regio Notaio, Regio Giudice a contratti e testimoni affinché ne avessimo formato il presente publico atto”.

Le tre deposizioni sono fatte di volta in volta alla presenza non sempre degli stessi  “giudice a contratti” e testimoni. Per il primo atto, infatti, presenziano: magnifico Giuseppe Lauda Regio Giudice a contratti, Nicola Morsa, Giovanni di Andrea Sasso e Don Luigi Lauda testimoni, tutti di detta Terra; per il secondo: magnifico Giuseppe Lauda Regio Giudice a contratti, Nicola Morsa, Giovanni Sasso ed Oto de Minno testimoni, tutti di detta Terra; per il terzo: magnifico Michele Manes Regio Giudice a contratti, Saverio Panella, Bartolomeo Meola e Giovanni Granato testimoni, tutti di detta Terra.

La cittadina di Greci, come si sa, è un paese alloglotto, unico esistente nella Regione Campania. Le sue origini albanesi traspaiono proprio nei cognomi, anche se  nella trascrizione grafica italiana. Gerardo Conforti che pubblicò nel secolo scorso un volume di “Appunti di storia cronologica di Greci”, trattando della variazione demografica del paese nell’età moderna, scrive: “Sulla scorta di questi fuochi e dei registri parrocchiali per gli anni su menzionati, a Greci, famiglie di origine puramente albanese, sono: Bina, Flamingo, Mascia, Meula (oggi Meola), Mandes (oggi Manes), Vara, Filaseta, Broscia (oggi Boscia), Pinto, Panella, Rex, Poppa, Pucci, Lucchese, Sollazzo, Cozza, Luso (oggi Lusi), Lauda, Norcia, Gliatta, Bellusci, Sasso”.

Molti di questi cognomi compaiono anche tra i testimoni che spontaneamente deposero a favore di altri loro concittadini in quel lontano ottobre del 1799. E che la Repubblica Napoletana trovò molti proseliti in questo paese alloglotto  dell’Irpinia, con una sua spiccata tendenza all’autonomia, potrebbe  non essere una pura e semplice suggestione.

 

1799 a Greci (Avellino)ultima modifica: 2008-06-29T15:55:03+02:00da manphry
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